di Davide Pitocco
Una tappa che vince Davide Bais come non gli era mai capitato nei suoi primi 25 anni. Oggi di certo prima della partenza di questa settima tappa i corridori non
possono gustare la buonissima mozzarella di bufala campana, ma dovranno fare
incetta di carboidrati per avere l’energia sufficiente per salire fino ai 2130 mt
dove è posto l’arrivo di giornata. Nel 18° secolo, Ferdinando IV di Borbone
creò il primo caseificio sperimentale della storia, nella tenuta di Carditello.
La strada che conduce a Campo Imperatore è già stata chiusa in mattinata, ma
gli appassionati del ciclismo non demordono e provano a salire chi a piedi, chi
in bicicletta, alcuni addirittura con il monopattino elettrico. Nessuno vuole
privarsi della possibilità di dire, io c’ero. Un gruppo di ciclisti amatori con
maglie di squadre che ormai sopravvivono solo nel ricordo dei più nostalgici,
Mercatone uno, Mapei, U.S. Posta. si fermano alla fontana di Calascio e si
abbeverano dopo l’affanno furioso della salita affrontata. E guardano ancora
verso l’alto, perché la cima è lontana. Sperano quanto meno di giungere sul
traguardo prima della carovana pubblicitaria. I paesani iniziano a preparare sui
balconi e sul ciglio della strada lunghi filari di fornacelle dove a breve fumo e
odore di arrosticini si eleveranno fino alle stanze di Zeus sull’Olimpo.
Un anziano signore con tante primavere scavate sul viso e sulle mani non può
fare a meno di domandarsi: Ma con questo profumo come fanno a non fermarsi
e a voler mangiare! Un altro risponde: Giovà! Sono stranieri, questi mangiano
rane ed hamburger! Che ne sanno della vera pecora!
Il gruppo è come un gregge che procede compatto, guidato da un unico pastore,
la voglia di vincere, di primeggiare, di indossare quei colori che tutti bramano,
Ed allora qualcuno spesso esce dal gregge e va a prendersi la vittoria, perché il
ciclismo è anche questo: essere uomini eccezionali che compiono imprese al
limite dell’assurdo e forse oggi è la giornata per chi vuole superare ogni
ostacolo e svettare assieme ai camosci d’Abruzzo.
Piove e non poco sulle strade del Giro. Inizialmente il gruppo non ci sta e va a
rintuzzare su ogni attacco, ma alla fine in quattro riescono a prendere la fuga
giusta: Davide Bais (EOLO-Kometa), Henok Mulubrhan (Green Project-
Bardiani CSF-Faizanè), Simone Petilli (Intermarché – Circus – Wanty) e Karel
Vacek (Team Corratec – Selle Italia).
A 167 km dall’arrivo Petilli è virtualmente maglia rosa. I fuggitivi hanno circa
7’ di vantaggio. Il plotone non insegue. I problemi legati al tempo continuano ad
imperversare e anche la maglia rosa si ferma per regolare l’abbigliamento adatto
ad affrontare le condizioni climatiche avverse. I primi scalatori alla partenza
dichiarano: Una tappa importante, ci siamo preparati. Per molti il Giro
comincia oggi e questa tappa vogliamo farla al meglio.
Sul Gran Sasso ci sono le famose strade bianche legate al tratturo, dove
anticamente i pastori attraversavano per scendere all’Adriatico selvaggio e poi
giungere giù fino alle Puglie per cercare climi più miti e gradevoli per le greggi.
I battistrada pedalano con lena sempre più crescente. Nel loro animo ogni
pedalata, ogni chilometro percorso li avvicina all’ambito traguardo. Ben 10’ li
separano dal gruppo. Tao Geoghegan Hart, il corridore in gara con il maggior
numero di vittorie ottenute in tappe di montagna, mangia e si nutre ed intanto
pensa a quale sia l’abbigliamento adatto per affrontare le asperità finali. Le
previsioni meteo potrebbero prevedere pioggia mista a neve.
Il ciclismo è romanticismo, è passione, è gesto eroico, tutti speriamo che uno
degli attaccanti possa tagliare per primo il traguardo sul Gran Sasso. Alla fine
chi ci prova, chi getta il cuore oltre l’ostacolo merita di ricevere un premio al
proprio sacrificio e magari ci auguriamo che Petilli possa vincere e indossare
anche il simbolo del primato.
Oggi chi non si alimenta adeguatamente rischia di affrontare il tratto più duro al
13% in piena crisi di fame e lì allora le gambe diventano dure come cemento, i
muscoli bruciano e la testa ti assilla per mettere il piede a terra, anche se tutti
sanno che solo i vili poggiano gli scarpini sull’asfalto e nessuno di essi vorrebbe
essere additato come colui che non ce l’ha fatta. E se proprio non dovesse
vincere un corridore nostrano, sarebbe bello se a primeggiare fosse Henok
Mulubrhan, atleta eritreo, che diventerebbe così il simbolo del riscatto di un
continente che per troppo tempo viene schiacciato dagli interessi di pochi.
Mentre noi mortali discutiamo sul vincitore e compiangiamo gli sconfitti, c’è
chi sale all’arrivo con gli sci, sfrecciando su un manto di neve bianca come i
petali di un giglio.
A Roccaraso, città di sport, di montagna, di Presidenti della Repubblica, Leone
aveva qui una residenza per l’estate e di orsi iconici come Juan Carrito,
sfortunatamente investito da un automobilista ignaro, il gruppo transita con 11’
di ritardo sui fuggitivi che da quattro sono passati a tre perché Mulubrhan non
ha retto il ritmo dei compagni di fuga; egli evidentemente è abituato a climi più
caldi e miti ed evidentemente deve aver patito la pioggia e la temperatura di
sette gradi che sta facendo compagnia ai corridori.
In tanti si svestono dei gambali, sperano che il clima in cima sia mite. Allora c’è
da sacrificare a Zeus per averlo benevolo. E tutti sanno che il padre degli dei
non si accontenta di sacrifici da poco. Chi dovrà rinunciare alla propria maglia
in onore del cronide?
Campo Imperatore è un luogo mitico per il ciclismo, ma anche per lo sci di
fondo e per le passeggiate in estate, è un sempreverde da godere ogni momento
dell’anno, sempre che la provincia de L’Aquila pulisca le strade lasciandole
percorribili, perché a volte l’incuria giunge frenetica propria da chi dovrebbe
prevenirla.
Le possibili dinamiche che si possono verificare sull’ultima lunga salita:
potrebbe essere la salita perfetta per Roglic, oppure un arrivo ristretto per sei o
sette corridori, i più importanti. Primko ha la qualità di essere veloce in questi
arrivi, ma contano anche le gambe, energie da dare e da spendere con rapporti
molto lunghi.
Lorenzo Fortunato potrebbe anticipare la bagarre finale che potrebbe scatenarsi
entro gli ultimi quattro chilometri e tentare di vincere la tappa, corridore che ha
familiarità con gli arrivi in salita, vincitore dell’ultimo Zoncolan.
I confetti di Sulmona sono stati gustati dall’Imperatore Tiberio, elogiati da
Boccaccio, regalati da Goethe, scandiscono con la loro presenza le tappe più
importanti della vita degli uomini, come nascite, matrimoni, lauree, ricorrenze,
chissà chi oggi potrà festeggiare con un mazzetto di essi sulla cima del Gran
Sasso.
Sulle pianure di Campo Imperatore è stato girato il primo film western comico,
Lo chiamavano Trinità, un film che nel 1970 guadagna più di tre milioni delle
vecchie lire, con la mitica coppia Bud Spencer e Terence Hill. Il film al suo
primo passaggio televisivo ebbe 12 milioni di telespettatori. In questa occasione
gli italiani hanno insegnato agli americani come rivoluzionare il genere western
e l’hanno fatto proprio sul Gran Sasso, di certo non innevato come in questi
giorni, ma con le spalle coperte di verde, di giallo e di marroncino, come una
deliziosa coppa di gelato variegato.
Mancano 64 km alla fine. Gli atleti non hanno proprio idea di come abbigliarsi.
Si è passati dal freddo, al fresco, al caldo e poi forse di nuovo al fresco della
vetta della Bella Addormentata. Ora i gambali sono stati sfilati ed anche le
mantelline.
Di certo si dovrà attendere l’inizio della salita per capire le strategie delle
squadre. Tutti sono in fermento. Tutti sperano che il proprio idolo possa svettare
per primo sul traguardo. Tutti fremono.
Sulla strada soldati sanniti salutano il passaggio dei corridori. Gli evocatori
vogliono rendere omaggio agli eroi delle due ruote, loro che periodicamente
omaggiano la storia di chi ha piegato l’esercito romano sotto le forche caudine.
Tante aspettative, tanta attesa per gli uomini di classifica ed invece nulla ha
mutato il volto della classifica generale. Il sacrificio a Zeus non si è compiuto e
chissà quando il plotone dovrà scontare questo peccato. Leknessund è rimasto in
maglia rosa. Il gruppo è rimasto sempre compatto. Nessuna squadra ha voluto
imporre un ritmo forsennato ed i big hanno badato a controllarsi. Soltanto
Champion a 5 km dall’arrivo prova un allungo, immediatamente ripreso perché
nessuno lo seguiva. I tre fuggitivi si sono contesi la vittoria finale: Vacek il
favorito fatica a stare a ruota degli altri negli ultimi chilometri, così a 200 mt dal
traguardo allunga Pais e taglia per primo il traguardo dopo 215 km di fuga,
un’impresa che verrà ricordata negli annali del ciclismo. Il record di scalata di
Pantani non è stato ancora battuto. Il Pirata da lassù di certo si starà facendo una
risata nel vedere tutti quei favoriti con la pancia piena che invece di darsele a
suon di pedalate e scatti, hanno preferito scegliere l’attesa. Marco scalò gli
ultimi 3 chilometri in circa 7:30″, gli ultimi 2 in 5:15″. Non è quello a cui
abbiamo assistito oggi il ciclismo che piace agli amanti delle due ruote.
Evenepoel quarto guida il gruppo maglia rosa. La tappa tanto attesa ha lasciato
l’amaro in bocca ai tanti tifosi assiepati lungo le strade, un pò meno ai tutti quei
corridori che hanno ricevuto al volo in dono bouquet fumanti di arrosticini. A
noi piacciono le imprese, ammirare lo sforzo di chi non fa calcoli e va
all’attacco senza temere figuracce, di chi attacca sapendo che è il più forte, ma
evidentemente nessuno si sentiva così. Domani è un altro giorno.