di Andrea Granata
Alcuni reati conoscono momenti di celebrità legati soprattutto alla notorietà di chi ne è inquisito o si vocifera, come in questo caso, possa esserlo; pensiamo al traffico di influenze illecite. Da più parti sentiamo raccontare che l’Italia ha sottoscritto e ratificato due Convenzioni, finalizzate a rafforzare le misure di contrasto al fenomeno della corruzione: la Convenzione di Strasburgo del 1999 e la Convenzione di Merida del 2003.
Gli impegni assunti dal nostro Paese con la sottoscrizione di tali convenzioni costituiscono la matrice da cui è scaturita la previsione nel nostro codice penale di questa nuova figura di reato, il traffico di influenze illecite.
Curiosamente, per l’informazione nostrana la finestra sul mondo si chiude qui.
Sarebbe stato legittimo attendersi che ci venisse raccontato di come Paesi, solitamente additati come modelli di virtù e integrità morale, che come noi avevano sottoscritto le medesime convenzioni, hanno risolto la questione del traffico di influenze illecite.
Ed è un vero peccato, ma al bar, nei talk show negli approfondimenti faremo molta fatica a sentirci dire che tra i Paesi firmatari della Convenzione di Merida la Svezia, Germania, Danimarca, Finlandia, Regno Unito e Paesi Bassi non hanno introdotto nelle loro legislazioni il reato di traffico di influenze illecite.
Questi Paesi decisamente più virtuosi del nostro secondo i rapporti sulla corruzione percepita, hanno compiuto un’altra scelta, preferendo disciplinare le attività dei cosiddetti portatori di interessi, i lobbisti, prevedendo, come è ovvio, anche la sanzione penale per comportamenti distorsivi, prendendo così due piccioni con una fava: il rispetto degli impegni assunti con la sottoscrizione delle convenzioni e cogliere l’occasione per disciplinare una materia complessa.
In Italia al contrario, con il solito mefitico mix di populismo, mancanza di idee, in una parola sciatteria, il nostro Parlamento si è guardato bene dal creare un impianto di regole per disciplinare l’attività di lobbying e ha scelto di introdurre l’ennesimo reato dai contorni vaghi e indefiniti, senza peraltro, ça va san dire, che l’ulteriore sfregio ai principi costituzionali di determinatezza e tassatività della fattispecie penale generasse alcun apprezzabile allarme.
Da decenni in Italia qualunque ragionamento che non sia un peana a pene più severe o verso nuove figure di reato è, nel migliore dei casi, considerato un abbassamento della guardia di fronte a questo o quel fenomeno criminoso, figurarsi cosa sarebbe accaduto se ci si fosse interrogati sulla concreta applicazione di una norma che sembra fatta apposta per inquisire questo o quel politico che tanto ci sta sullo stomaco.
No decisamente no, non è più tempo per certe sottigliezze anzi peggio, per certe debolezze.
Si perché senza girarci troppo intorno, ormai la figura, l’evocazione, del colletto bianco altro non è che la rappresentazione di una parte della società nemica dell’altra, quella sana.
Tutto, questo, a pensarci bene, si inquadrerebbe in una logica che è di guerra civile, che ha “accidentalmente” piegato la Giustizia a strumento di eliminazione del nemico.
Una logica in cui prevale la forza, quella imponente del circo mediatico che fa da grancassa a certe inchieste giudiziarie e in cui la ragione, i principi vengono considerati unanimemente quali inutili orpelli.
Probabilmente ciò che appare come piattezza della scienza giuridica che sembrerebbe non cogliere i pericoli insiti in certe norme è il risultato di questo cambiamento climatico prontamente percepito dalla cosiddetta dottrina più avvertita.
Forse però, al nostro legislatore, che poi sarebbero i nostri parlamentari le cose potrebbero essere rappresentate diversamente, magari lasciando perdere richiami alla Costituzione che evidentemente non hanno su di loro alcun appeal.
Sarebbe più utile fargli notare che quella cosa che alcuni di noi definiamo sdegnati come scempio di principi di civiltà giuridica può a loro beneficio essere tradotta molto più prosaicamente come l’attività di colui che continua a segare il ramo dell’albero su cui è seduto. I reati non possono essere costituiti da norme scritte senza pensare alla loro concreta applicazione, perché la gente ce lo chiede o peggio per creare il presupposto per la mattanza giudiziaria del nemico di turno.
Senza scomodare le conquiste dell’Illuminismo, il Ferrara, il diritto penale come scienza del limite della potestà punitiva dello Stato, ai nostri parlamentari si dovrebbe provare a far comprendere la differenza che esiste tra una figura di reato e una tonnara o magari dei rischi che corre un tacchino che vuole partecipare al Thanksgiving.