Contro la crudele caccia alle foche, in risposta alla forte protesta dei cittadini europei e nella quale ha avuto un ruolo chiave la campagna condotta dalla LAV (anche documentando direttamente dai ghiacci del Canada la mattanza in corso), nel 2009 l’UE ha adottato una legislazione innovativa che limita le importazioni di prodotti derivati dalla caccia commerciale alle foche.
Dopo un decennio (il Regolamento era stato definitivamente approvato nel 2015, a seguito di un contenzioso intrapreso dal Canada presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio), la Commissione europea sta valutando se la legislazione rimane idonea allo scopo.
A quanto pare, alcuni stati membri dell’area del Mar Baltico (Estonia, Lettonia, Svezia, Finlandia, Danimarca) lamentano un eccessivo aumento delle popolazioni di foche, con danni agli “stock” ittici e dunque con un impatto socioeconomico negativo.
Così, sebbene non sussista alcun obbligo giuridico di effettuare una valutazione sulla adeguatezza di norme vigenti da anni, la Commissione Europea ha deciso di avviare una procedura (definita di “fitness check” – vaglio di adeguatezza, in termini di efficacia, efficienza, coerenza e proporzionalità del provvedimento) che consiste in una Consultazione sia di stakeholder istituzionali (Stati membri e Paesi terzi interessati – Canada, Norvegia; Industria) sia dei cittadini europei.
20 anni fa l’Italia rivestiva un ruolo primario nel mercato internazionale di prodotti di foca; per questo è stato molto importante l’impegno della LAV che con una specifica campagna di sensibilizzazione dei cittadini, due spedizioni in Canada (nel 2004 e 2005) e una forte pressione verso le istituzioni, portò poi l’allora governo ad introdurre un divieto nazionale all’import di pellicce di foca (Decreto 2 marzo 2006 Ministero Attività Produttive, GU n.87 del 13 aprile 2006); divieto che costituì un precedente positivo per la successiva estensione a tutta l’Unione Europea.