di Alessio Di Carlo
Per adesso si tratta solo di un’inchiesta avviata dalla Procura di Milano, ma vista l’importanza del brand coinvolto e l’ammontare della presunta evasione, la notizia – che ha aperto le news finanziarie della mattinata di ieri – ha fatto parecchio rumore.
Gli inquirenti milanesi hanno infatti aperto un fascicolo su una presunta evasione fiscale da parte della holding lussemburghese Lagfin, che controlla la maggioranza del gruppo Campari, il marchio italiano diventato celebre nel mondo anche per l’iconica bottiglia disegnata dal futurista Fortunato Depero.
Tornando all’inchiesta, l’accusa ipotizza un’omessa dichiarazione dei redditi e relativo versamento di imposte con una base imponibile di circa 5 miliardi di euro, oltre alla esistenza di una “stabile organizzazione occulta” in Italia della holding lussemburghese, che avrebbe evitato il pagamento delle tasse per gli anni dal 2018 al 2020.
La Lagfin, dal canto suo, ha dichiarato la propria assoluta serenità rispetto a ogni addebito, sottolineando di aver sempre adempiuto ai propri obblighi tributari in tutte le giurisdizioni in cui opera.
Per una strana coincidenza, praticamente in contemporanea con la notizia del fascicolo aperto contro Lagfin, il Sole 24 Ore ha reso noto che l’Agenzia delle Entrate contesta a Google una presunta evasione di circa un miliardo di euro (e siamo a due) e che sulla questione indaga la Procura di Milano (la stessa di Lagfin).
Per un’altra strana coincidenza (e siamo a due, come i miliardi), nella “Relazione sul Rendiconto generale dello Stato” pubblicata proprio oggi dalla Corte dei Conti, si legge che “Il numero di accertamenti ordinari realizzati nel 2023 (oltre 175 mila) risulta in diminuzione rispetto al 2022 (-14 mila accertamenti circa, con una riduzione del 7,5 per cento) e ampiamente inferiore ai risultati pre-pandemia (oltre 267 mila controlli nel 2019). È necessario rilevare come una maggiore frequenza dei controlli fiscali, soprattutto per le tipologie di attività a maggior rischio di evasione (e più numerose), potrebbe e dovrebbe integrare l’utilizzazione in chiave preventiva (prima di tutto) della ingente mole di dati a disposizione nei sistemi informativi (tra i quali, come già segnalato, i dati descrittivi delle fatture elettroniche emesse e ricevute, i corrispettivi comunicati telematicamente e i movimenti risultanti dall’Anagrafe dei rapporti finanziari e dai pagamenti elettronici), già normativamente in buona parte previsto, ma ancora non compiutamente realizzato”.
Dunque, nell’arco di poche ore abbiamo la Corte dei Conti che chiede più controlli sull’evasione fiscale e la notizia di due distinte inchieste in danno di altrettanti colossi finanziari per un ammontare di 2 miliardi di euro.
Nulla da dire, naturalmente, sulla opportunità di aprire i fascicoli d’indagine.
Ma il timing con cui le inchieste sono state rese note desta qualche perplessità.
Chi scrive è tra coloro che ritengono che le inchieste dovrebbero sempre rimanere segrete. E questo non solo per preservare la posizione dell’indagato (ricordiamoci sempre che viviamo in un Paese in cui il sillogismo indagato=colpevole è all’ordine del giorno), ma anche per evitare gli effetti collaterali che possono verificarsi con la sola comunicazione dell’avvio di una indagine.
Basti vedere cos’è accaduto in Borsa ieri sera al titolo Campari che – sull’onda della notizia diffusa nella mattinata – ha fatto registrare un calo di quasi quattro punti percentuali. Una bella batosta per l’azionista o, se si preferisce, un bel guadagno per l’operatore che abbia pensato bene di giocare a ribasso.
E a proposito di pensare bene – ché mai ci sogneremmo di fare il contrario, né riguardo ai movimenti di borsa o sulle notizie che li determinano, né sulla comunicazione della apertura dei fascicoli da parte di una Procura – non sarebbe più consolante credere che non sia casuale che certe notizie saltino fuori in contemporanea con i rimbrotti della Corte dei Conti.
Se così fosse, occorrerebbe dotare ogni Procura della Repubblica di un proprio ufficio stampa, di un addetto alla comunicazione, di un social media manager, di un content specialist, di un art director o di chissà quali altre diavolerie di cui invece, davvero, non si sente il bisogno.