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      Morte e resurrezione dell’Ospedale di Penne

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      di Paolo De Carolis

      In questi giorni, per motivi di salute, ho trascorso tanto tempo dentro l’ospedale di Penne. Un posto per me magico, nonostante sia un luogo di sofferenza. Qui, infatti, da ragazzo passavo a trovare i miei congiunti medici: Gavino Lattanzi, chirurgo di un’equipe allora d’eccellenza, l’ortopedico Gabriele Crudeli ma, soprattutto, Tonino De Carolis, ortopedico anche lui, a cui ero legato da straordinarie affinità. Allora il nosocomio di Penne era un presidio di prestigio che richiamava utenza anche al di fuori dell’area vestina. La storia di queste strutture sanitarie oggi sappiamo bene come è finita: passate stabilmente e direttamente sotto le mani dei politici della II, III e IV repubblica, sono praticamente scomparse come enormi  monumenti alla palese incapacità amministrativa di chi ha retto le sorti negli ultimi  30 anni.  Solo ora, dopo gli sfracelli ai danni della sanità pubblica che ha fatto diventare, per forza di cose, l’ospedale di Pescara un fronte di guerra, solo ora, dicevamo, si vede qualche segno di risveglio. E tant’è, passeggiando in quei lunghi corridoi che un tempo mi vedevano spensierato adolescente e giovane frequentatore, ho scorto questa targa. Ora, fuori da ogni nepotismo, mi sono tornati in mente, i giorni, gli anni, i sacrifici, gli impegni di Tonino De Carolis per far diventare Penne un centro d’elezione della chirurgia della mano e del piede. Impegno pienamente ricambiato se è vero che la “capitale vestina” a lungo è stato un polo d’attrazione per questa specialità. Per onestà intellettuale, va detto, però, che quell’alacrità è stata di tutti. Di un gruppo aureo in cui scienza, coscienza, talento e innovazione si sono legati in una miscela felicissima. Nessuno può dimenticare, infatti, il reparto chirurgico diretto dal prof. Roberto Familiari, capace di dare vita ad una vera e propria scuola con allievi di straordinaria diligenza: Carlo Santucione, Gavino Lattanzi, appunto, Enrico Casciani, Antonio Perrone e Giampiero D’Amico che, dopo Giuseppe Colecchia e un breve interregno di un anno e mezzo, affidato  a Eduardo Marchese, ne è stato primario per circa 17 anni. Non è trascurabile nemmeno la bella pagina qui scritta nel suo reparto di Medicina dal dott. Leonardo Vecchiet, autentico luminare della medicina sportiva e medico della Nazionale azzurra di Enzo Bearzot che, nel 1982, vinse i Mondiali in Spagna. In quei giorni non era difficile trovare tra i corridoi del nosocomio pennese i miti del calcio italiano: Gigi Riva, Gianni Rivera, Paolo Rossi, Marco Tardelli, Antonio Cabrini, tanto per citarne qualcuno, per sottoporsi alle efficacissime cure del primo “utilizzatore” della carnitina nel calcio. Non secondario è stato nemmeno il ruolo di Otorinolaringoiatria che ha visto muovere i propri passi, in questi ambulatori, un’eminenza grigia come Livio Presutti, considerato oggi il numero 1 al mondo. Fulgido anche il periodo vissuto da ortopedia e traumatologia nell’ultimo triennio del ‘Novecento. Sotto l’esempio del prof. Manfrin sono stati allevati chirurghi di altissimo livello come Bruno Maria Graziosi, Gabriele Crudeli, appunto, Pierandrea Giuliani, Stefano Sacconi- Paone, Ercole D’Amato, e lo stesso Antonio (Tonino) De Carolis che, dopo il pensionamento del Maestro, ha diretto brillantemente il reparto per un paio di decenni creando una scuola di chirurgia della mano e del piede tra le più apprezzate nel centro- sud. Fasti che, ad un certo punto, sembravano perduti per sempre invece, un po’ alla volta, almeno in alcuni settori il nosocomio vestino, hanno ripreso vigore. E’ il caso dell’unità di Otorino sotto le sapide mani del dirigente Francesco Berni Canani e della sue équipe, Penne è tornata al centro dell’attenzione. Stesso discorso si può fare per ortopedia che Domenico Palmieri, dirigente Medico Responsabile insieme al suo valido staff, di cui ne cito alcuni solo per brevità: Lea Rossignoli, Giandomenico Peracchia e Federico Visci, ha miracolosamente rilanciato. Insomma, il peggio è passato ma la memoria va conservata. Con l’uscita di scena dei vari Vecchiet, Familiari, De Carolis tutto è finito nel dimenticatoio? A loro non va dato nemmeno un segno di riconoscenza? Chi ha lavorato così tanto per una comunità e un servizio tanto importante, non merita un riconoscimento per l’esempio lasciato ai posteri?  Ecco, una sala, un locale, un’ala dell’ospedale si potrebbe intitolare a chi non c’é più. O questa società ha proprio cancellato il valore della memoria così caro anche a Foscolo?

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