
di Alessio Di Carlo
E’ andata come si sapeva. Come sapevano, con ogni probabilità, perfino gli stessi promotori. Perché ormai il raggiungimento del quorum, per i referendum abrogativi, rappresenta un vero e proprio evento eccezionale.
Ci si potrebbe interrogare a lungo sui motivi che hanno portato alla situazione attuale, in cui poco più della metà dell’elettorato si reca a votare, qual che sia il tipo di consultazione. E le risposte potrebbero essere molteplici.
Tuttavia, il punto è un altro: ha senso mantenere il quorum di validità del 50%+1 dei votanti previsto nell’art. 75 della Costituzione, in una realtà (a dire il vero non solo italiana) di completa disaffezione e distanza degli elettori dalle urne?
La ratio che aveva spinto il Costituente all’introduzione del quorum è più che evidente: nel dopoguerra l’affluenza è stata costantemente al di sopra del 90% e solo nel 1994 è scesa al di sotto del 85%.

Va da sé che fissare un quorum di validità al 50% rappresentava, in quel quadro, anche un modo per stabilire il grado di interesse che il quesito referendario riscuoteva presso l’elettorato. E dunque, il mancato superamento di quella soglia ben poteva essere interpretato come un segnale inequivoco di carenza di coinvolgimento da parte degli aventi diritto al voto e, quindi, un motivo più che logico per invalidare la tornata elettorale.
Ma quel quadro, oggi, non esiste più. Nelle ultime elezioni politiche ha votato il 64 % degli italiani. Sovente nelle ultime amministrative si è sfiorato il 50%.
La scelta di non votare – o forse meglio sarebbe parlare di disinteressarsi delle urne – è ormai appannaggio della metà degli elettori. Dunque la partita tra fautori del Sì e sostenitori del No diventa quantomai impari, visto che questi ultimi partono con la vittoria in tasca. Basterà non far campagna elettorale, alcun tipo di propaganda, ignorare la chiamata alle urne, magari con la connivenza di una parte dei media, per portarsi a casa la vittoria, con la dichiarazione di nullità del referendum abrogativo.
Ma non era questa la realtà immaginata e voluta dal Costituente, sicché sarebbe quantomeno opportuno abbassare – se non proprio eliminare – la soglia indicata nell’art. 75.
Diversamente, avremo smarrito quella terza scheda che ha permesso, in un momento cruciale della vita economica, politica e sociale del Paese, di favorire riforme fondamentali. E sarebbe imperdonabile privarsi di un istituto di democrazia diretta così importante, specie in un’epoca che, anche grazie alle maggiori opportunità offerte dalle nuove tecnologie, ne rende assai più agevole la praticabilità.
Così facendo, solo così, faremo si che “il diritto non divorzi dalla realtà”, come insegnava Carnelutti.