Giuseppe Piccioni firma un ritratto noir e inquieto del poeta di San Mauro di Romagna
di Paolo De Carolis
Un film cupo, dai toni ovattati e dai contorni sfumati. Zvanì – Il romanzo famigliare di Giovanni Pascoli, diretto da Giuseppe Piccioni, è un insolito ritratto noir del poeta di San Mauro a Mare, che tenta di scandagliare l’animo di uno dei protagonisti più tormentati del nostro Decadentismo.
L’intento di offrirne una visione intima riesce solo a metà: il film, pur muovendosi con sensibilità, scivola progressivamente in una dimensione esistenziale e relazionale che sconfina nel patologico.
Un treno, una memoria, un Paese in lutto
- Un treno parte da Bologna, diretto verso l’ultimo viaggio di Giovanni Pascoli. A bordo, studenti, autorità, gente comune e la sorella Maria – per tutti Mariù – accompagnano il poeta verso la sepoltura.
Il convoglio attraversa un’Italia commossa, che si stringe attorno alla figura di un uomo capace di dare voce al dolore e alla speranza del popolo.
Durante il tragitto, i ricordi di Mariù si intrecciano al ritmo delle rotaie: l’infanzia spezzata dall’assassinio del padre, gli anni della miseria, l’impegno politico giovanile, il difficile rapporto con Giosuè Carducci. Poi la laurea, il ricongiungimento con le sorelle, la casa condivisa, le tensioni familiari. Ida, spirito libero, sceglie di allontanarsi; Giovanni, invece, si rifugia con Mariù a Castelvecchio, cercando quiete tra versi e silenzi.
Quel treno non è solo un mezzo di trasporto, ma un passaggio tra mondi: mentre corre verso la destinazione finale, il paesaggio si fa onirico, popolato da visioni e presenze che sembrano uscite dalle sue poesie. È l’ultimo canto di un’anima inquieta, che continua a parlare al cuore del suo Paese.
Ombre, silenzi e mancanze
Il film di Piccioni, per quanto ambizioso, soffre di alcune lacune. A partire dalla fotografia, troppo scura e malinconica, fino al ritmo narrativo, a tratti indolente. Alcune scelte letterarie e biografiche appaiono imprecise o poco documentate.
Le principali raccolte poetiche di Pascoli – Myricae, I Canti di Castelvecchio e Il fanciullino, vero manifesto della sua poetica – vengono quasi ignorate. Nel film compaiono solo pochi versi, disseminati qua e là – da Arano al X agosto, fino a La mia sera – senza mai condurre a una lettura profonda del poeta e del suo pensiero.
Anche il rapporto con Carducci e d’Annunzio risulta poco credibile, distante da quanto tramanda la storiografia ufficiale.
Il merito e il limite
Resta comunque il merito del regista di essersi confrontato con una delle voci più alte della letteratura italiana. Piccioni tenta di restituire il dolore, la fragilità e l’ombra che attraversano la vita e l’opera di Pascoli, ma finisce spesso per indugiare su un eccessivo personalismo e su toni di cupa introspezione.
Ne risulta un film interessante ma irrisolto, che oscilla tra biografia poetica e dramma psicologico, senza trovare un equilibrio definitivo.
In definitiva, Zvanì è un’opera che, pur con i suoi limiti, può risultare fruibile e utile soprattutto per gli studenti delle scuole superiori, come introduzione cinematografica – seppur imperfetta – a una figura centrale della nostra letteratura.
📚 BOX – Giovanni Pascoli in breve
- Nascita: 1855, San Mauro di Romagna
- Morte: 1912, Bologna
- Opere principali: Myricae (1891), Canti di Castelvecchio (1903), Il fanciullino (1897)
- Poetica: la purezza dello sguardo infantile come chiave per cogliere il mistero del mondo
- Temi ricorrenti: dolore, memoria, natura, perdita, affetti familiari
