
La denuncia delle Chiese e della società civile alla vigilia del vertice Ue-UA
Roma, 30 giugno 2025 – Pesticidi altamente tossici, banditi nei Paesi dell’Unione Europea per gli effetti nocivi su salute e ambiente, continuano a essere prodotti ed esportati verso il continente africano. Un paradosso che si traduce in un vero e proprio scandalo etico e sanitario, denunciato con forza da attivisti, vescovi e organizzazioni della società civile in occasione dell’incontro “Ferma il veleno. Sostieni le sementi”, promosso a Roma dalle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam) e dalla rete Cidse, in vista della sesta Conferenza dei ministri dell’Agricoltura di Ue e Unione Africana.
Il caso Mancozeb: fungicida vietato ma ancora distribuito
Tra i protagonisti della denuncia c’è Medius Bihunirwa, rappresentante della rete agricola ugandese Pelum Association. «Il mancozeb, vietato in Europa, continua a finire sui pomodori venduti nei mercati africani» afferma. E non è l’unico. Altri nomi sulla lista nera includono glifosato, atrazina e aldicarb: tutti pesticidi classificati dall’Ue come “ad alto rischio”, ma ancora esportati verso Paesi dove le regolamentazioni sono più deboli o inesistenti.
I dati parlano chiaro: si tratta di oltre 200 sostanze chimiche vietate o gravemente limitate in Europa che proseguono la loro circolazione su scala globale. Un’industria redditizia per le multinazionali, ma a spese dei contadini africani, dei loro figli, della loro terra e dell’acqua contaminata da residui tossici.
“Doppi standard” che uccidono l’etica e il futuro
A lanciare l’accusa di “doppio standard” è anche monsignor Bernard de Clairvaux Toha Wontacien, vescovo di Djougou (Benin): «Le nostre risorse naturali e le sementi non sono merci da sfruttare, ma un dono. L’Europa non può difendere la salute dei propri cittadini esportando veleni in Africa». Un richiamo che trova risonanza nell’enciclica di Papa Francesco Laudato si’, più volte citata durante l’incontro.
Cresce la dipendenza: +175% di pesticidi nel Sud del Sahara
Dal 1990 al 2021, l’uso di pesticidi nei Paesi dell’Africa subsahariana è aumentato del 175%, fino a toccare le 210.000 tonnellate. Una vera “colonizzazione chimica”, secondo Italo Rizzi, direttore di Lvia (organizzazione socia di Focsiv), che parla di una sfida tecnica, politica e morale: «Non possiamo accettare che ciò che è vietato nei Paesi del Nord sia liberamente venduto dove i cittadini sono meno tutelati».
Le donne e i bambini: le prime vittime invisibili
La denuncia ha anche un volto umano. «Le donne lavorano nei campi esposte ai pesticidi senza protezione. Sono loro a raccogliere l’acqua dai fiumi contaminati. E sono loro, insieme ai bambini, a pagare il prezzo più alto», spiega Bihunirwa, riferendosi a studi che collegano l’esposizione a pesticidi con nascite premature e alterazioni del ciclo riproduttivo.
Appello all’Europa: vietare l’export dei veleni
Il messaggio lanciato da Roma è chiaro e indirizzato ai vertici europei: «I corpi delle donne africane non sono diversi da quelli europei. Se un pesticida è pericoloso per voi, lo è anche per noi. Fermatene la produzione e l’esportazione».