Anziana deceduta in Pronto Soccorso a Chieti

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Tafuri: “La famiglia a caccia di colpevoli,

basta accuse infamanti”

“Un racconto che stravolge la realtà dei fatti, anche se dettato da una componente emotiva comprensibile”. Esordisce così Emmanuele Tafuri per spiegare come sono andate le cose al Pronto Soccorso dell’ospedale di Chieti in merito all’episodio della ottantenne deceduta mentre si trovava in osservazione. 

“La donna è arrivata da noi il 9 maggio alle ore 21.00 con dolore addominale e vomito e parametri vitali nella norma – spiega il primario -. E’ stata visitata dal medico di turno  che ha rilevato una sepsi in presenza di una pregressa insufficienza renale e altre patologie rilevanti. La Tac addome e le consulenze specialistiche a cui è stata sottoposta, di tipo urologico e nefrologico, hanno poi confermato un quadro iniziale di infezione clinicamente stabile. La paziente, nelle ore e nei giorni a seguire, ha ricevuto cure farmacologiche e assistenza continua, pur restando nell’Osservazione temporanea del Pronto Soccorso per mancanza di posti letto in area Medica. Ai famigliari è stato autorizzato l’ingresso, con specifico  permesso, per stare accanto alla donna anche nella condizione non molto confortevole di degenza in barella,  che in situazioni di particolare affollamento resta comunque una soluzione che permette di accogliere i malati. Il decorso si è rivelato poi positivo, la risposta alle cure era buona e in accordo con la famiglia si era ipotizzata una eventuale dimissione, sulla quale è intervenuto un nuovo episodio di vomito che ha fatto rilevare un iniziale aumento della flogosi. Si è così deciso di trattenerla ancora in Pronto Soccorso in attesa di un posto letto per ricovero in reparto, e ha ricevuto sempre, e sottolineo sempre,  assistenza medica e infermieristica continua. Il 12 maggio le condizioni erano stabili, ed è stata rivalutata per ben 3 volte, sempre in attesa del posto letto. Alla sera la donna ha accusato un malore proprio mentre il figlio era in visita, ed è stata sottoposta immediatamente a manovre rianimatorie dal personale del Pronto Soccorso e della Rianimazione, che non sono bastate a salvarle la vita. Era stata monitorata due ore prima e mai lasciata senza assistenza. Non posso perciò accettare, pur nel rispetto del dolore – prosegue Tafuri – una ricostruzione dei fatti non veritiera, e respingo le accuse di aver lasciato la donna nell’abbandono. E’ un oltraggio al lavoro che viene svolto ogni giorno in condizioni difficili, di sovraffollamento nei reparti e in Pronto Soccorso, dove l’impegno è massimo per dare risposte a tutti da parte dei medici, degli infermieri e degli Oss. La perdita di un famigliare non legittima nessuno ad attribuire colpe e responsabilità a operatori sanitari che fanno il proprio dovere cercando di dare il massimo, anche a fronte di situazioni critiche come la mancanza di posti letto e un organico che sembra non bastare mai a fronte dell’afflusso di utenti nel nostro Servizio. Non siamo eroi, non lo siamo mai stati nemmeno quando venivamo definiti tali, perché facevamo solo il nostro dovere per salvare vite altamente a rischio in pandemia, ma passare ora per carnefici proprio no. La morte improvvisa di un paziente anziano in equilibrio precario per più patologie può avvenire  anche in un ospedale, e non la si può addebitare alla negligenza degli operatori sanitari. La ricostruzione dei fatti è puntualmente documentata nel diario clinico della paziente, c’è tutto scritto. Il resto si qualifica come caccia alle streghe”. 

Per fugare qualsiasi ombra e a tutela degli stessi operatori del Pronto Soccorso Tafuri ha richiesto l’autopsia.