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      Tra sfalcio e cura: riflessioni su una pista ciclabile dimenticata

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      PESCARA – Per comprendere la differenza tra sfalcio e cura, basta percorrere il breve tratto di pista ciclabile che collega la piazza antistante la Stazione di Pescara Portanuova a il tratto terminale di via Conte di Ruvo, poco prima del sottopasso ferroviario che conduce alla Tiburtina. Questo tragitto, lungo appena 80 metri e largo 2,50, si snoda stretto tra due recinzioni, adagiato al piede della massicciata ferroviaria.

      Un progetto al minimo sindacale – Perché, in un’epoca in cui auspichiamo tutti una maggiore diffusione della mobilità ciclistica, ci si ostina a realizzare infrastrutture al minimo della larghezza possibile (come previsto dal regolamento 557/99)? Lo spazio disponibile permetterebbe senza difficoltà una pista più ampia, anche di 3 metri, eppure, soprattutto tra i progettisti, ci si ostina a rispettare pedissequamente il limite inferiore di legge.

      Ma è nella gestione post-realizzazione che emergono alcune contraddizioni significative. Le due aiuole laterali – più propriamente definibili “spazi residuali” – sono state abbandonate a un loro autonomo sviluppo, come se la natura dovesse spontaneamente completare l’opera dell’uomo. Il risultato è sotto gli occhi di chiunque percorra questo tratto: un tripudio caotico di vegetazione che, nelle stagioni di fioritura, offre certamente uno spettacolo caleidoscopico di colori, ma riduce progressivamente lo spazio di transito.

      La situazione attuale è emblematica di un approccio poco attento alla manutenzione urbana. Oggi, come altre volte, la pista ciclabile si è ridotta ad una “single track”, un sentiero dove il passaggio di due biciclette in senso opposto diventa un’impresa. Se questa condizione di abbandono dovesse perdurare, il transito diventerà presto impossibile.

      L’intervento, quando arriverà, seguirà il copione consueto: lo sfalcio rimuoverà tutta la vegetazione cresciuta, portando alla luce il triste campionario di rifiuti che la fitta trama erbosa oggi nasconde ora alla vista. Transito e decoro verranno temporaneamente ripristinati, in attesa del prossimo ciclo di degrado.

      Sfalcio e cura: una questione di visione – Qui emerge la distinzione fondamentale tra sfalcio e cura. Lo sfalcio è un intervento d’emergenza, un tentativo di recuperare condizioni estreme di abbandono attraverso azioni episodiche, spesso intempestive. La cura, invece, presuppone un’idea, un progetto, una presenza costante che accompagna l’evoluzione dello spazio urbano.

      Chi dovrebbe occuparsi della manutenzione stradale spesso si limita a interventi tampone che testimoniano la condizione di “rincorsa” per evitare l’incuria, piuttosto che una reale capacità di governo del territorio. Tuttavia, esistono margini di crescita professionale significativi per le maestranze addette agli interventi stradali. Una formazione più specifica sulla gestione del verde urbano, sull’utilizzo di tecniche manutentive preventive e sulla pianificazione degli interventi potrebbe trasformare questi operatori in veri custodi della bellezza urbana (esempi ce ne sono, nella stessa Pescara).

      La percezione della mobilità lenta – Chi si sposta a piedi o in bicicletta percepisce immediatamente queste contraddizioni. La mobilità lenta consente di guardare, osservare, sentire, ascoltare. Chi viaggia in automobile, al contrario, scorge appena fugacemente l’intorno stradale, senza avere il tempo di coglierne le criticità.

      Se la mobilità urbana fosse maggiormente ad appannaggio di pedoni e ciclisti, probabilmente avremmo una considerazione più accorta ed esigente degli spazi residuali della viabilità, e anche soluzioni progettuali più dignitose. La città vista dal finestrino di un’auto tollera l’approssimazione; quella vissuta al ritmo dei nostri passi o delle pedalate pretende cura, attenzione, rispetto.

      Restituire alla cittadinanza una città che dia il senso della cura, anziché essere trattata a sfalcio come un campo incolto, non è un’utopia. Richiede innanzitutto un cambio di mentalità e una miglire organizzazione da parte di chi amministra e di chi opera concretamente sul territorio. Le competenze ci sono, gli spazi anche, ci vuole solo una maggiore consapevolezza nel considerare la cura urbana non come un costo accessorio, ma come un investimento nel benessere collettivo. Quella pista ciclabile di 80 metri potrebbe diventare l’esempio di un piccolo corridoio floreale, anche con la pratica dell’affidamento della cura, una strategia che in molti luoghi ha dato risultati più che pregevoli, sia in senso estetico che di presa in carico di una responsabilità diffusa di tutela e valorizzazione degli spazi comuni.

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