
La parola “sionista” è interessante. Chi la usa come insulto è ovviamente un antisemita di scarse letture e abbondante livore e non merita altra considerazione, ma passiamo oltre.
Partiamo dall’ovvio: il sionismo nasce alla fine dell’Ottocento, rivolto essenzialmente agli ebrei dell’impero russo, per i quali stabilire una nuova patria nella terra ancestrale (o anche altrove, Herzl aveva esplorato diverse alternative, tra cui il Madagascar) era soprattutto una maniera di evitare pogrom e segregazione. Accanto a questo, c’era l’idea di uno stato ebraico, laico e (nelle visioni di molti) socialista, che superasse la condizione di sradicamento ed estraneità degli ebrei nelle diverse società in cui erano minoranza variamente stigmatizzata e oppressa e trasformasse l’identità culturale e religiosa in senso nazionale, come avveniva per molti altri.
Per inciso: se fossi stato un ebreo di quelle parti e di quei tempi, probabilmente sarei stato bundista e non sionista, il che, tra lo zar prima, Stalin poi e i nazisti alla fine, mi avrebbe quasi certamente portato a fare una gran brutta fine.
Comunque, essere sionisti significava voler costruire uno stato ebraico, in particolare in quella terra che chiamavano Erez Yisrael, che fino al 1918 corrispondeva a parte dei wilayet ottomani di Siria, Tiro e Gaza e dopo il 1918 al mandato britannico di Palestina. Una volta costituito Israele, con il suo carattere ebraico e democratico (su cui torno alla fine), il sionismo ha sostanzialmente cessato di esistere, proprio come l’irredentismo trentino con l’ingresso di Trento nel regno d’Italia. Esiste Israele, esistono i cittadini israeliani (di diverse religioni e culture, ma in prevalenza ebrei e comunque tutti con gli stessi diritti fondamentali), esiste il rapporto particolare che lega molti ebrei in tutto il mondo a Israele.
A queste condizioni, Israele ha lo stesso diritto incondizionato di esistere di qualsiasi altro stato riconosciuto al mondo: lo stesso diritto che hanno il Belgio e il Togo, l’Ucraina e Trinidad, gli USA e il Bhutan. Può avere governi ottimi o pessimi, può essere una democrazia piena e libera o una sconcia dittatura, in pace coi suoi vicini o aggressore imperialista, esso ha comunque lo stesso diritto di esistere, almeno secondo i criteri che regolano i rapporti tra gli stati dalla la pace di Westfalia in poi. Il suo carattere ebraico e le sue caratteristiche specifiche lo possono rendere più o meno simpatico. Se si afferma tutto questo non si è sionisti, si è semplicemente in linea con i principi di base del diritto internazionale. Se si negano in particolare a Israele questi diritti, non si è antisionisti, si è, appunto, antisemiti.
Rapida appendice, sul carattere ebraico e democratico dello stato di Israele, che dà fastidio a tanti per il primo aggettivo. Sì, Israele è uno stato ebraico, nel senso che ogni ebreo del mondo può acquisirne la cittadinanza quasi immediatamente. In questo, è simile a tanti altri stati al mondo, che riconoscono automaticamente il diritto alla cittadinanza a discendenti di connazionali (è molto più facile ottenere la cittadinanza italiana per un tizio nato in Argentina con un trisavolo di Casarsa che per un tizio nato in Ghana senza avi italici che vive e lavora in Italia da anni, per dire). Ed è uno stato democratico, in quanto garantisce ai suoi cittadini tutti i diritti fondamentali e permette l’accesso alla cittadinanza a tutti, sulla base di requisiti meno rigidi di quelli stabiliti da molti altri stati. Intendiamoci: Israele sarebbe legittimo anche se non lo fosse, come la maggior parte delle nazioni riconosciute al mondo (nessuno pone problemi alla legittimità dell’Iran, della Cina o della Russia, per dire). Ma lo è. Imperfetto, come molte altre democrazie e, come queste, sempre a rischio. Appunto, come tanti altri.