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      Suicidio medicalmente assistito, quando il diritto cede il passo al confessionale

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      di Alberto D’Ambrosio

      Oggi il Consiglio Regionale sancisce, con la sua decisione in merito alla proposta di legge di iniziativa popolare sulle modalità e termini certi con cui applicare la sentenza della Corte costituzionale in tema di suicidio medicalmente assistito, l’appartenenza a pieno diritto dell’Abruzzo al medioevo e al governo del Papa Re. Inutili gli sforzi di chi poneva l’accento sul fatto che il consiglio non era chiamato a legiferare sull’argomento (la sentenza lo fa già) ma meramente a normare a livello regionale la legge stessa circa la procedura e la tempistica. La voce della parrocchia si è sostituita al legislatore con considerazioni etiche tipiche, mentre contemporaneamente si dichiarava incapace di trattare un argomento perché non qualificata. Non qualificata a trattare un argomento che rientra nei suoi precisi compiti istituzionali nel mentre si ritiene qualificata a dare il suo parere su una sentenza nazionale che non ha bisogno di approvazione. Sentire i discorsi dei capogruppo di Fratelli d’Italia e Lega mette i brividi.

      Il diritto non esiste più a fronte del confessionale.

      E’ soprattutto questa considerazione che mi conforta ancora di più nella mia convinzione che la religione è e sarà sempre un freno potentissimo all’affermarsi della civiltà ovunque essa provi ad affermarsi.

      A nulla valgono gli argomenti del tutto semplici e condivisibili di Luciano D’Amico ma questo è comprensibile: di fronte a certi personaggi, il professore sembra un alieno proveniente da un altro pianeta.

      Una maggioranza ovviamente compatta si è arrampicata sugli specchi per promuovere una posizione evidentemente imposta dal vertice. Mi aspettavo invece una posizione più incisiva da parte del mio rappresentante in consiglio, Enio Pavone. Pur votando a favore, ha dato del suo voto spiegazioni davvero poco convincenti; anche qui, ho paura, seguendo ordini di scuderia. Mi ha favorevolmente stupito invece Alessio Monaco che è convintamente cattolico, addirittura al limite del bigottismo, ma qui ha dato prova di un liberalismo che non gli conoscevo. Applausi, ma anche qui temo si trattasse di ordini dall’alto.

      E infatti ancora una volta il tema è forse più semplice di quanto si possa immaginare: cosa ne è di una politica i cui esponenti locali, nominati dai vertici dei rispettivi partiti, sono solo burattini telecomandati (i fili non esistono più) che tanto più valgono quanto più sono docili?

      Quando ci decideremo a riprendere in mano la cosa pubblica? Quando ci convinceremo a pretendere di tornare a scegliere i nostri rappresentanti? Quando cominceremo a chiedere a quelli attuali di darci conto del loro operato?

      In tempi migliori un’Italia certamente molto più cattolica dell’attuale fu capace di dire no alle direttive del Vaticano. Oggi è peggio?

      Ma alla fine non hanno comunque ragione loro se gli elettori ormai sono così disillusi da lasciare nelle loro mani la gestione della cosa pubblica nella convinzione (indotta) di non contare nulla?

      Politica, d’altra parte, è impegno. E quindi sono più da biasimare quelli che da dentro il sistema si muovono per continuare a farne parte o quelli che con la loro ignavia glielo permettono?

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