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      MARATTIN RITENTA, SARAI PIù LIBERALE (seconda parte)

      Pubblicato

      di Alberto D’Ambrosio

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      Di volta in volta il mio impegno è da molto tempo quello di chiedere ai politici che si candidano a risolvere i problemi del mondo e vengono a proporci le loro ricette miracolose se intendono ridare ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti con una legge elettorale meno truffaldina.

      L’ho chiesto ai grillini appena eletti che però si accorsero ben presto che il cambio della legge elettorale non era una delle loro priorità (dopo averlo sbandierato durante la campagna elettorale). L’avevo già chiesto prima ai radicali nelle quali file ho militato per troppi inutili anni senza avere risposte perché erano (e sembra lo siano ancora, per quanto è possibile capire della politica radicale da un quarantennio in qua) troppo impegnati a badare alle sorti degli uiguri.

      L’ho chiesto, in Azione, direttamente ad Ettore Rosato il quale ha difeso strenuamente la sua legge perché, comunque, era meglio del porcellum che la precedeva.

      Vorrei chiederlo oggi anche a Marattin, che si propone come il più nuovo salvatore della Patria: Ha come priorità assoluta l’impegno a cambiare la legge elettorale? Perché senza cambiare le regole del gioco è inutile pensare a qualsiasi altra cosa che non sia il proprio scranno in Parlamento, non crede?

      Non crede che il motivo dell’astensionismo, della disaffezione degli elettori sia non tanto la legittima mancanza di fiducia nei propri rappresentanti quanto la sensazione di impotenza di chi, pur volendo contribuire al buon andamento della comunità si vede preclusa qualunque possibilità di essere ascoltato? Come può condannare chi, costretto ad adattarsi, cerca almeno di barattare il proprio voto con un favore qui e là? Non si tratta quindi di dire, come le ho sentito dire, che l’elettore ha sempre ragione salvo poi doversi prendere la responsabilità del voto espresso. Troppo facile. Quello che è essenziale è tornare, da parte della politica, a guadagnarsi la fiducia dei cittadini che è pari, al momento, a zero. Certo, a chi vive di politica questo importa poco. Che almeno non ci veniate ad ammannire filippiche sull’insipienza dei cittadini. Questo mi sembra obiettivamente troppo.

      Una volta preso questo impegno e ottenuto il risultato sarà il caso di occuparsi delle tante cose importanti da risolvere, fra cui quelle dell’economia alla luce della posizione dell’Italia, all’interno di una vera Europa dei popoli, nel mercato globale e tutto il resto a cascata. I temi sono tanti e sono prerogativa di figure certo più competenti quindi non mi lancerò in fesserie su argomenti sui quali non ho adeguata preparazione. A me preme piuttosto porre l’accento su alcuni punti che ritengo propedeutici ad un corretto navigare della politica italiana: il primo è ridare al cittadino il diritto/dovere di scegliere i propri rappresentanti e di questo si è parlato.

      Un altro tema che vedo spesso eluso è quello della laicità dello Stato. I cittadini non confessionali sono “un po’” infastiditi di quell’ottopermille e di quegli innumerevoli privilegi (esenzione dell’IMU, delle tasse, del pagamento delle utenze, spese di manutenzione del patrimonio immobiliare (il 30 %) del patrimonio immobiliare italiano) che riserva al Vaticano quasi sei miliardi di euro all’anno. Vi sembra una tangente adeguata da versare a chi vi permette, da uno Stato straniero, di farvi lavorare? I Savoia erano, da questo punto di vista, enormemente più moderni di voi.

      Il Welfare, poi, pur in una concezione liberale/liberista dello Stato come lo vede, lei, Marattin? Contributi a pioggia senza controllo dell’efficienza, degli sprechi e mazzette a go go?

      Nell’ottica liberal/liberista ( che poi liberal-democratico, già che ci sono, cosa significa? Esiste un partito italiano che non si dichiara democratico? Già liberal-socialista mi è sempre sembrato un ossimoro, non fosse che per Gobetti) accettiamo uno Stato che si occupa di fare l’imprenditore e lo condanniamo quando si propone di attuare il welfare, cioè aiuto a chi non ce la fa pur avendo dato il suo contributo nella sua vita lavorativa?

      Accettiamo senza batter ciglio che i 70 ricchi più ricchi d’italia siano quest’anno più ricchi del 60% rispetto all’anno scorso senza che lo Stato si ritenga obbligato a controllare?

      Non mettiamo troppa carne al fuoco. Partiamo da qui. Poi facciamo sempre in tempo ad aggiungerne altra quando avremo esaurito questa.

      Grazie dell’eventuale gradita risposta, onorevole Marattin.

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