Ecco lo Spazio vitale
di Emidio Maria Di Loreto
Può sembrare strano ma, attualmente, uno dei dilemmi più importanti riguardo alle sperimentazioni scientifiche in campo biomedico è se sia meglio formare astronauti per le ricerche, oppure inviare nello spazio biologi già esperti, preparandoli come cosmonauti. Sembra infatti che, in una navicella spaziale operativa, esistano delle condizioni favorenti, la microgravità, per la ricerca medico-scientifica. Come se nello spazio si potesse essere dotati di una grande lente in grado di ingrandire, per decifrare e scrutare velocemente gli intricati problemi connessi ai processi cerebrali degenerativi umani. Per la drammaticità delle condizioni fisiche dei pazienti e per gli elevati numeri che si contano tra loro, le problematiche neurologiche potrebbero essere quelle ad avere la condizione di maggiore attesa di una ipotesi terapeutica sicuramente efficace. Che debelli la patologia o almeno ne rallenti il decorso in modo significativo senza che si procurino danni collaterali ai pazienti.
E’ da tempo a dir il vero che esiste una branca della medicina, detta medicina spaziale, che intende fissare le prime considerazioni ed ipotesi formulate da studi ormai in piedi da qualche anno. Nel 2018 Luca Parmitano*, in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico di Torino, l’Agenzia Spaziale Europea e l’Istituto Superiore di Sanità, ipotizzava studi da condursi sulla Stazione Spaziale internazionale. L’obiettivo era esplorare se le formazioni degli aggregati proteici di beta amiloidi, caratteristiche dell’Alzheimer, fossero influenzate dall’assenza di gravità. Successivamente, sul fronte degli studi sull’Alzheimer, altre ipotesi sono state formulate ed altre ancora parallelamente sui processi dell’invecchiamento in genere. È per questo che l’intervista pubblicata su Il Sole 24ore da Michela Moretti a Davide Marotta, responsabile della Ricerca e Sviluppo Biomedico del laboratorio spaziale, acquisisce importanza notevole in prospettiva. Quel che ci viene svelato è che, nelle navicelle spaziali, ormai la metà degli spazi sono occupati da materiali inerenti attività di studio per esperimenti in biologia, chimica e fisica (circa 4 tonnellate, viene riferito, tutte destinate al lavoro della Stazione Spaziale Internazionale -ISS- nel National Laboratory). Il perché è presto detto da Marotta che sottolinea come la microgravità funga da catalizzatore nelle ricerche mediche accelerando i tempi di reazione e ad esempio, trasformando nuove cellule in forme adulte più stabili e quindi più fruibili ed intellegibili dal punto di vista degli studi. Riferisce inoltre lo studioso nell’intervista che le condizioni sperimentali ad esempio per l’Alzheimer sono favorenti per via della disponibilità di cellule da organoidi (organi in miniatura ottenuti attraverso uso di staminali) più maturi che, subendo divisioni in misura minore di quanto non avvenga sulla terra, garantiscono una stabilità cellulare che favorisce gli studi. Questa condizione è particolarmente favorente per le conoscenze sull’Alzheimer poiché si può contare su una minore confusione tra cellule in riproduzione sfrenata come avviene in presenza di gravità. Fra le altre cose i tempi sperimentali nello spazio sono ridotti per reazioni più veloci cosa che significa un minor costo per sperimentazioni che però avvengono in ambienti lontani e quindi non proprio esenti da consumi di risorse a meno che non si possa ricondurre gli studi in ambienti terreni opportunamente modificati.
Circa gli esempi sperimentali condotti nello spazio, il dottor Marotta riferisce di un caso per una terapia anticancro sviluppata con favore ed in tempi molto ridotti grazie ad organoidi derivati da pazienti che invece sulla terra avrebbero comportato tempi lunghi. I tempi di realizzazione si sono abbreviati in 10 giorni cosa che ha accelerato la possibilità di passare la molecola a destinazione terapeutica verso una fase sperimentale clinica molto più velocemente. L’intervista prosegue con l’ipotesi formulata dallo scienziato circa la ragione per la quale la microgravità controlla in modo diverso le migrazioni delle cellule metastatiche nel corpo umano. Si è osservato che, in assenza di gravità, le cellule tumorali si muovono in modo da consentire un più agevole studio sulla loro aggressività e quindi la previsione di metastatizzazione. Da ciò si deduce che è ipotizzabile, per i medici, formulare previsioni sul rischio di aggravamento per la diffusione di metastasi grazie a queste caratteristiche che rappresenterebbero una specie di carta d’identità della cellula tumorale metastatizzante. La ragione di ciò è fatta risalire ad un DNA che nella microgravità si presenta in modo meno compatto e quindi aperto a rendere maggiori produzioni di RNA messaggero per una maggiore e più veloce produzione di proteine per le maturazione e specializzazione cellulare.
L’intervista del dottor Marotta induce anche ad un’altra riflessione da mettere in relazione con un’altra notizia diffusa nei giorni scorsi dal Whashington Post, ma ripresa anche dal NY Times, circa gli studi sull’invecchiamento. Sarebbe individuata da alcuni studiosi in un gruppo metilico (–CH3) l’ipotesi sulla causa che genera quella improvvisa condizione in cui ognuno, ad un certo punto della vita, prende coscienza dell’invecchiamento del proprio corpo. Questi gruppi metilici si aggiungerebbero in punti del DNA dando origine ad una metilazione che causa una specie di inattivazione dei geni e che ne blocca l’espressione. I gruppi metilici sono componenti dell’epigenoma, l’insieme delle molecole responsabili dei cambiamenti degli organismi, e la loro funzione in queste circostanze è di indurre l’accensione o lo spegnimento di un gene attraverso la possibile ricezione di segnali biochimici. La metilazione inoltre risulta influenzata da tante variabili come ereditarietà, stili di vita, malattie. Quel che è meritevole di essere approfondito, magari ricorrendo alle facilitazioni della microgravità nello spazio, è se, ipotizzando un intervento a cura di fattori di Yamanaka (OCT4, KLF4, SOX2 e c-MYC, gene quest’ultimo simile all’oncogene virale della mielocitomatosi), il fenomeno dell’invecchiamento della cellula possa essere ridotto. Ciò viene ottenuto iniettando all’interno delle cellule virus contenenti i quattro fattori di Yamanaka. Questi fattori rimuovono i blocchi genetici che impediscono ad una cellula di tornare ad essere una staminale, seppur in un lasso di tempo lungo e senza garanzie di successo. Grazie all’intervento dei fattori la cellula può tornare nella sua condizione di cellula staminale pluripotente, indotta quindi artificialmente, detta iPS. Nello spazio i tempi di sperimentazione potrebbero abbreviarsi e dare origine a situazioni in cui le staminali interessate possono meglio essere utilizzate per finalità terapeutiche, non ricorrendo all’utilizzo di embrioni, ed indirizzate verso una differenziazione a seconda delle necessità. Ad esempio nella medicina rigenerativa in cui, preparata la cellula riprogrammata attraverso le cellule staminali pluripotenti secondo le necessità terapeutiche, si indirizzano verso la specializzazione richiesta che in assenza di gravità potrà essere qualitativamente migliore.
Ovviamente si è in una fase sperimentale ancora lontana ma meritevole di essere esplorata sapendo che gli interessi terapeutici possono essere elevati.
Guadagnare una sorta di elisir di lunga vita oppure una pietra filosofale o qualsiasi altro mezzo che conduca verso l’immortalità ha popolato in ogni periodo della storia gli interessi di coloro che hanno tentato di opporsi all’invecchiamento, per benefici personali oppure per accrescere il proprio patrimonio o potere. Si spera che se sarà così possa essere terapia a beneficio di tutti.
Emidio Maria Di Loreto
Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi necessità sul proprio stato di salute, su modifiche della propria cura o regime alimentare, si consiglia di rivolgersi al proprio medico o dietologo.
*Luca Parmitano, cosmonauta dell’ESA –European Space Agency-. Primo italiano al comando della Stazione Spaziale Internazionale nella Expedition 61 ad effettuare una passeggiata spaziale il 9 luglio 2013.