Balletto d’autore a Pescara. Venerdì, nell’ambito dell’interessante festival Corpografie, sarà protagonista il Balletto di Sardegna con la produzione Zatò e Ychì, interpretata da Valeria Russo e Lucas Monteiro Delfino. Lo spettacolo è in programma alle 21 allo Spazio Matta, nei pressi di via Gran Sasso, dietro il muraglione del tracciato ferroviario. Uno Spazio (è propio il caso di dirlo) vitale per le espressioni artistiche e culturali della città.
La storia si ispirata a Zatoychi, Zatò per gli amici, un invincibile spadaccino cieco della tradizione giapponese, a cui in Giappone hanno dedicato numerose serie tv e di recente un film. La compagnia ha voluto sottolinearne i contenuti, ma soprattutto l’ironia che lo permea, cercando di reinventare l’Oriente mitico che lo caratterizza. “Per noi – affermano i coreografi e danzatori – Zatoychi divide in due la sua anima, scindendosi in forma maschile e femminile, e diventa Zato’ & Ychi’, due samurai che si scontrano in tre cruentissimi combattimenti, sostenuti e incalzati nel loro serrato confronto da clangori metallici e dal ritmo profondo delle percussioni.”
Zato’ & Ychì è una performance emozionante e senza respiro, ideata da Senio G.B. Dattena, anche autore dei costumi, elemento essenziale della performance, trapuntati con miriadi di campanelli; vere e proprie sculture sonore che ricordano alcuni felici esperimenti teatrali della Bauhaus. Concepiti con oggetti metallici incorporati che al momento opportuno vengono scossi e percossi, sono infatti i costumi stessi a creare una colonna sonora e a dettare in parte, col loro peso e volume, il movimento dei danzatori. Una condizione che vede i duellanti affrontare non solo la violenza dello scontro, ma anche il peso delle proprie armature sonore; al contrario il terzo combattimento è rarefatto e nudo, dal momento che i samurai indossano degli Hakama, indumenti alle cui pieghe vengono fatti corrispondere i precetti del Bushidō, il codice di condotta morale del guerriero giapponese. La performance procede secondo una sorta di sottrazione, la tensione permane tuttavia inalterata e intensa con un oggetto che completa l’armamentario sonoro di questa pièce: un bidone di latta, e lemento scenico da percuotere come un tamburo. Chi siano costoro, e cosa rappresentino, non è dato sapere. Appartengono ad una civiltà umana dimenticata da milioni di anni? sono i superstiti di un futuro postatomico? a riguardo della loro identità siamo liberi di immaginare altro e molto altro ancora. Con certezza, sappiamo soltanto del loro vivere un’incessante metamorfosi e un continuo liberarsi da strutture troppo rigide. Fino alla fine.
