di Roberta D’Agostino
La quattordicesima domenica del tempo ordinario il film diretto e sceneggiato da Pupi Avati è nelle sale.
La distribuzione del film è di Vision distribution, la fotografia di Cesare Bastelli il montaggio di Ivan Zuccon, le musiche di Sergio Cammariere, Lucio Gregoretti
La produzione di La quattordicesima domenica del tempo ordinarioè a cura diDuea Film, Minerva Pictures con Vision Distribution in collaborazione con Sky
Nel cast di La quattordicesima domenica del tempo ordinario ci sono: Camilla Ciraolo, Lodo Guenzi, Nick Russo, Edwige Fenech, Gabriele Lavia, Cesare Bocci, Massimo Lopez, Cesare Cremonini, Jacopo Rampini, Fabrizio Buompastore, Sydne Rome, Anna Safroncik, Patrizia Pellegrino, Pilar Abella, Vincenzo Failla
Bologna, anni 70. Marzio, Samuele e Sandra sono giovanissimi e ognuno ha un suo sogno da realizzare. La musica, la moda, o forse la carriera. I due ragazzi, amici per la pelle, fondano il gruppo musicale I Leggenda e sognano il successo. Sandra è un fiore di bellezza e aspira a diventare indossatrice. Qualche anno dopo, nella quattordicesima domenica del tempo ordinario, Marzio sposa Sandra mentre Samuele suona l’organo.
Quella ‘quattordicesima domenica’ diventa il titolo di una loro canzone, la sola da loro incisa, la sola ad essere diffusa da qualche radio locale.
Poi un giorno di quei meravigliosi anni novanta in cui tutto sembra loro possibile, si appalesa all’improvviso la burrasca, un vento contrario e ostile che tutto spazza via. Li ritroviamo 35 anni dopo. Cosa è stato delle loro vite, dei loro rapporti? Ma soprattutto cosa ne è stato dei loro sogni?
Pupi Avati parla del suo film:
Ho immaginato il titolo già oltre 15 anni fa quando, raggiunta la settantina, ho iniziato una doverosa riflessione sul percorso che avevo alle spalle. La quattordicesima domenica del tempo ordinario secondo l’anno liturgico è quella che segue la Quaresima e anticipa l’Avvento e per me è il giorno in cui mi sono sposato il 27 giugno 1964. Ho pensato, ho immaginato una separazione per un lungo periodo di 35 anni dalla donna che avevo sposato, nella reciproca aspettativa di vedere entrambi realizzati i nostri sogni immaginando poi un nuovo incontro in cui verificare quanto questi sogni non si siano realizzati e di conseguenza quanto fossimo noi cambiati rispetto ad allora. Credo che in una situazione come quella attuale dell’Occidente in cui la gran parte delle unioni – sancite da matrimoni religiosi o civili o altro – hanno una vita breve perché si concludono molto spesso con separazioni e divorzi, l’immaginare cosa possa accadere di due persone che hanno usato il conoscersi reciprocamente per amarsi e successivamente il conoscersi reciprocamente per combattersi e quindi che cosa possa rappresentare per loro il ritrovarsi dopo gran parte della propria vita vissuta lontani uno dall’altra. È evidente che c’è ben poco di autobiografico in quanto la mia esperienza in ambito matrimoniale è ancora ben salda e mi auguro lo sia definitivamente. Tuttavia, immaginare e scrivere una storia come questa mi ha dato modo di verificare quanto l’invecchiare abbia prodotto in me una nostalgia sempre più esplicita nei riguardi di quella figura paterna della quale non avevo avvertito l’assenza per gran parte della mia vita. Una considerazione ancor più definitiva che può essere interpretata come una dichiarazione d’amore è nell’avvio di questa storia per cui ho individuato un luogo preciso, quel chiosco di gelati dove nella mia prima adolescenza ho condiviso con i miei sodali e coetanei di allora i miei primi sogni. Per dare un senso a questa proposta narrativa sono ricorso a quella che è la mia esperienza di vita attuale, comparandola a quella che nelle mie stesse condizioni vivono i miei coetanei, alcuni penalizzati in modo definitivo e irreversibile dalla solitudine. Credo che il condividere la cosiddetta terza età, questa stagione così complicata della propria vita con qualcuno che ti conosca e che ti stia accanto possa rappresentare un sollievo non indifferente”.
Gabriele Lavia spiega il suo personaggio.
Io e Pupi Avati eravamo entrambi a Milano per motivi di lavoro, ci siamo incontrati, lui mi ha detto che avrebbe voluto girare un altro film insieme a me a quasi 40 anni di distanza dal nostro “Zeder” e abbiamo chiacchierato a lungo. Poco dopo ho letto e apprezzato la sceneggiatura che mi ha dato e abbiamo iniziato a girare. Mi ricordo soprattutto che faceva molto molto freddo durante le riprese e il clima piacevole del set. È stato bello lavorare con il mio regista, con suo fratello, il produttore Antonio Avati, e con tutti gli altri attori e tecnici… [Nel film] Sono la seconda metà del personaggio di Marzio, interpretato in età giovanile da Lodo Guenzi. Dostoevskij direbbe che quando ci sono io in scena a interpretarlo, Marzio frequenta gli angoli bui della sua vita mentre quando è interpretato da Lodo frequenta quelli luminosi. Spesso però succede che l’angolo luminoso della propria vita coltiva l’angolo buio e la vecchiaia è sempre un angolo buio, non ho mai conosciuto un vecchio contento dell’età che ha. Mi verrebbe da dire che in scena io sono la delusione di Lodo Guenzi mentre Lodo è la mia illusione. La vita ti riserva queste amare sorprese, Marzio vive da anziano questa delusione, è un fallito che vive in modo dimesso ma ha ancora dentro il cuore qualcosa, non abbandona il sogno di essere un musicista. Il suo amico e sodale di sempre ha rinunciato al sogno della musica ed è diventato un potente funzionario di banca pieno di denaro, ma vive una storia infelice nella sua vita privata destinata a concludersi tragicamente invece Marzio non ha una vita privata, non ha una vita, vive una continua delusione in cui coltiva ancora una strana illusione, non si arrende ed è questa la sua forza, rappresenta un vecchio inarreso..
Anche Edwige Fenech racconta il suo personaggio
Ho ricevuto una chiamata da Pupi Avati che mi ha raccontato la storia del film al telefono e devo dire che sono rimasta molto impressionata. L’ho sempre adorato come regista e mi ha fatto molto piacere che mi stesse cercando per propormi qualcosa di molto diverso rispetto a tutto quello che avevo fatto in passato. Quando ha finito il suo racconto quasi non ci credevo, alla fine della chiamata avevo già detto di sì… Quando ho riattaccato mi sono messa a fare salti di gioia per come ero felice. Sandra è un ruolo distante da me, però è molto vero e quando un personaggio è realistico inevitabilmente dopo tanti anni di esperienza inserisci nella tua interpretazione qualcosa del tuo vissuto: tutti noi nella vita viviamo alti e bassi, gioie e dolori e tutte queste varie esperienze finiscono naturalmente anche nei nostri personaggi. Ovviamente quello di Sandra non è il mio vissuto, quella donna non sono io, ma dovendo interpretarla dovevo animarla e mi sono preparata come succede sempre per tutti i personaggi, drammatici o brillanti che siano: si studia, si cerca di capire chi è la persona che devi riproporre sullo schermo, si cerca di coglierne la verità, le ombre e la luce. In fondo l’approccio è sempre con qualcuno che non sei tu e sei tu che devi dargli vita.