di Davide Pitocco
Il primo Giro d’Italia del 1909 è stato l’evento dell’anno. Sono migliaia gli spettatori accorsi sulle strade, ai margini per vedere i corridori. Partecipano anche i cosiddetti trenisti, atleti di secondo piano, che strada facendo raccolgono qualche spicciolo per pagarsi il biglietto del treno per tornare a casa. Luigi Ganna, il vincitore, dopo la proclamazione viene intervistato dalla Gazzetta e alla domanda di rito su cosa provasse dopo la vittoria, in dialetto varesino risponde: “ Mi brucia il sedere!”.
Questi ciclisti, a sentire le loro gesta oggi viene da sorridere, ma ai tempi erano considerati dei veri eroi, tanto che gli stessi socialisti li usano nelle campagne come propaganda, venendo così a creare un legame concreto tra il popolo, le masse ed i ciclisti, che divengono così dei veri e propri miti risorgimentali, o come li chiama Ivanoe Bonomi, miti greci. Questo eroismo si completa durante la prima Guerra Mondiale, perché tanti ciclisti professionisti si arruolano e compiono anche imprese eroiche, una tra tutte quella di Carlo Oriani, vincitore del Giro del 1913, il quale morirà per i postumi di una polmonite presa durante la ritirata di Caporetto. Per completare l’eroismo dei ciclisti nel gotha degli eroi sportivi e popolari arriva alla fine della Grande Guerra d’Annunzio che scrive delle poesie in cui esalta l’impegno di questi soldati, ciclisti ed eroi.
Per i socialisti riformisti, Bissolati e Bonomi, il ciclismo è lo sport del popolo povero, perché in esso, che era un prodotto del capitalismo e dell’industria, c’è l’occasione per gli operai per migliorare la propria condizione. Infatti in molti articoli lo stesso Bonomi afferma che i socialisti che sono contro la bicicletta ed il ciclismo non hanno capito nulla dell’evoluzione della società. Infatti quando Mussolini era ancora socialista, era solito gettare i chiodi al passaggio dei corridori del Giro, per boicottare quello che veniva definito il Giro plutocratico e borghese. Anche la Chiesa inizialmente è fortemente ostile, perché, rappresentando la modernità, incappa nell’astio di tutti gli antimodernisti, compresi i cattolici massimalisti. Per i preti che vanno in bici sono comminate sospensioni a divinis. Questo atteggiamento cambierà soltanto dopo gli anni trenta. Per non parlare poi delle donne: era fortemente proibito andare in bicicletta, perché non era un atteggiamento consono e perché le gonne per forza di cose svolazzavano.
I liberali ed il mondo borghese sono invece a favore di questo mezzo. Il ciclismo è uno sport legato alla produzione dei mezzi stessi, dei pneumatici e dei giornali. Non dimentichiamo che oggi come allora era un’impresa commerciale tra le più fortunate di quel periodo.
La cosa curiosa attorno al ciclismo è questa: all’inizio gravita attorno all’orbita dei liberali, ma poi i regimi totalitari ne capiscono il vero valore, fascisti da una parte e comunisti e bolscevichi dall’altra. L’adozione dello sport da parte degli Stati a matrice comunista è una forzatura antropologica, perché i comunisti sono per il cervello, vero o sbagliato che sia, molti paesi del blocco comunista, da Cuba all’Urss, hanno utilizzato lo sport a fini propagandistici, anche se il primo, colui che ha mostrato la via alle dittature, è stato proprio Benito Mussolini, il quale è stato considerato il primo atleta politico dell’Italia del Novecento, proprio per come utilizza lo sport per cercare propaganda e consenso al regime.
Negli anni Trenta la gente ama il Giro ed i suoi campioni passati e presenti. L’eleganza di Girardengo, il coraggio di Binda, la combattività di Guerra attirano molti appassionati attorno a questo mondo. La bicicletta diventa così il primo veicolo di trasporto del Regno d’Italia e le vendite aumentano di Giro in Giro.