di Pierpaolo Di Carlo
“Io sono la notte” diceva il celebre supereroe con residenza a Gotham City. Volendo partire da questa frase, estrapolandola dal suo contesto e facendo un semplice esercizio di analisi grammaticale, potremmo dire che “la” è un articolo determinativo e sta ad indicare una notte specifica, quella più importante. Se la rapportassimo al mondo del calcio, non avremmo dubbi a quale fare riferimento. E anche se qui Batman non esiste, c’è qualcun altro degno del peso specifico di quest’affermazione. Ovviamente si tratta di Carlo Ancelotti, la rappresentazione umana di cosa significhi giocare la Finale di Champions. Anche perché un ruolo del genere diventa semplice quando ci arrivi sei volte solo da allenatore. Nel corso degli anni Carletto è stato elogiato sia da colleghi che giocatori, che ne hanno sempre esaltato le qualità umane oltre che quelle tecniche.
Fra le più importanti c’è sicuramente la tranquillità, oltre che la ricerca della bellezza e delle emozioni anche in serate del genere e nel mondo del calcio di oggi, pervaso da un nervosismo patologico che accomuna tifosi e addetti ai lavori, sono sicuramente qualità più uniche che rare.
Come al solito è riuscito a trasmettere tutto questo ai suoi giocatori, che hanno affrontato la finale di ieri sera con la compostezza dei più forti, ma anche con grande rispetto degli avversari tedeschi, coraggiosi spettatori in prima fila della grandezza di un gruppo pregno dell’etica lavorativa di Re Carlo.
Se c’è una cosa che ha insegnato anche a noi comuni mortali appassionati di questo sport, è che ogni tanto si può anche perdere, ma vincere fa decisamente più piacere e, soprattutto, non annoia mai, o almeno non se ti chiami Carlo Ancelotti.