di Pierpaolo Di Carlo
Un tifoso neutrale, trovando il Milan al secondo posto, probabilmente rimarrebbe confuso dalle enormi critiche che costellano l’ambiente rossonero da diversi mesi. Se è vero che solo un’Inter dirompente è riuscita a mettersi davanti ai rivali di sempre, è altrettanto vero che le aspettative e le pretese dei tifosi casciavìt hanno un’origine precisa e chiara: rinnegare quel sentimento di mediocrità che per loro ha caratterizzato questa stagione, riconoscibile sia negli occhi di chi ha gestito la società, sia in quelli di chi ha allenato i giocatori.
La verità, per quanto a posteriori sia facile ammettere i propri insuccessi, è che il Milan non ha più avuto uno straccio di obiettivo da inizio dicembre, quando è uscito dalla Champions con una speranza flebile di poter competere in Europa League e con un campionato già perso da un mese. L’esercizio preferito dai tifosi italiani, ovvero l’assegnazione delle colpe, come al solito ha visto l’allenatore protagonista. Tuttavia, un fondo di verità c’è sempre e in questo caso, alla luce di una media di infortuni stagionali che dopo quattro anni non può essere figlia della malasorte, sei derby persi di fila con note di contorno avvilenti, fra cui una semifinale di Champions, un gioco affievolitosi sempre di più dopo la vittoria dell’ultimo scudetto e umiliazioni normalizzate come se stessimo parlando di una squadra di bassa classifica, direi che la voragine è bella profonda.
Eppure, allargando le nostre vedute, ci renderemo conto di come i problemi abbiano un’altra matrice comune, una a stelle e strisce che, in linea con le scelte dell’ultimo periodo, non sembra ancora aver compreso cosa abbia scatenato l’inferno fra i tifosi del diavolo, senza che Russel Crowe proferisse parola.