49 anni dopo: il processo degli ex brigatisti rossi per la sparatoria alla Cascina Spiotta

0
182

Grande soddisfazione per la famiglia D’Alfonso che da allora cerca la verità

di Paolo De Carolis

Dopo quasi mezzo secolo, gli ex brigatisti rossi Renato Curcio, Mario Moretti e Lauro Azzolini sono stati rinviati a giudizio per la tragica sparatoria avvenuta il 5 giugno 1975 alla Cascina Spiotta, vicino ad Acqui Terme (AL). La battaglia, che seguì il sequestro dell’industriale dello spumante Vallarino Gancia, si concluse con la morte dell’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso e della brigatista Mara Cagol, moglie di Curcio.

Il processo, che inizierà il 25 febbraio 2025 ad Alessandria, vedrà imputati i due capi storici delle Brigate Rosse, Curcio e Moretti, e il militante Azzolini. Un quarto imputato, Pierluigi Zuffada, è stato prosciolto poiché l’accusa, così come formulata dalla procura, è stata considerata prescritta.

Gli imputati rischiano l’ergastolo. Bruno D’Alfonso, figlio dell’appuntato ucciso, oggi collaboratore de Il Messaggero Abruzzo, aveva 11 anni quando suo padre perse la vita e si è costituito parte civile con le sorelle. Ha dichiarato di non cercare vendetta, ma una sentenza che ristabilisca la verità e dia dignità al genitore.

La battaglia della Cascina Spiotta fu uno degli episodi più drammatici del periodo delle Brigate Rosse. Dopo il sequestro di Vallarino Gancia, un commando delle Brigate Rosse fu individuato da una pattuglia di carabinieri che fece irruzione nella Cascina Spiotta, dando origine a uno scontro a fuoco con esiti tragici.

Oggi, quasi 50 anni dopo, si apre un nuovo capitolo di giustizia e ricerca della verità. Il processo rappresenta un’importante occasione per ricostruire gli eventi accaduti quel giorno e per dare dignità alle vittime e alle loro famiglie.
Sono felice per me e la mia famiglia“, confessa Bruno D’Alfonso, ” perché, con il rinvio a giudizio dei tre brigatisti inizia concretamente una nuova fase processuale che, spero, ci ricondurrà a quella verità, tanto agognata, soprattutto per restituire dignità al sacrifico di mio padre, per lungo tempo dimenticato. Un episodio, tanto discusso quanto annebbiato nei quasi cinquant’anni successivi, che potrà rendere giustizia anche all’intera società“, conclude D’Alfonso, “nel pieno diritto di sapere la pura verità di tutti i fatti che sono stati pagati con il sangue dei propri concittadini“.