Qualcuno, prima o poi, dovrà porsi il problema della mortificante soluzione estetica scelta, decine di anni fa, per sopraelevare i binari della ferrovia. Una muraglia di cemento grigio e triste spezza in due Pescara. Da una parte la città protesa verso il mare, dall’altra quel che resta della città. Il peggio è lungo via Ferrari, dove solo qualche cartellone pubblicitario interrompe l’effetto claustrofobico creato da cotanta bruttezza. Poco dopo il sottopasso di via Teramo, altro capolavoro estetico (si fa per dire, ovviamente), guardando verso il ponte Flaiano, ci sono una panchina, due alberelli, un tappetino rabberciato e una piantana per un ombrellone. Messi lì da un cittadino, forse da più cittadini. Cosa rappresentano? Andiamo di fantasia: forse, un modo per dire “anche qui deve esserci qualità”, magari lo scherzo di qualche buontempone, oppure il riciclo attivo di qualcosa che non si usa più. E se fosse, involontariamente, una forma d’arte? Ci piace pensarlo e la scritta, oramai scolorita, di un writer corrobora questa idea. (dipescara2)