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      Il Pd pescarese va a Cantine Aperte e diventa il Partito del Mai

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      Quella cosa informe, a tratti inutile, confusa e confusionaria, perdente per una vocazione acquisita con perniciosa insistenza, senza una leadership, perennemente preda di stantii personaggi con mentalità periferica e incapace di una, anche minima, visione unitaria e programmatica è il Pd pescarese. Un Pd che, sul tema della Nuova Pescara, ma non solo su quello, sta facendo ridere i polli e tutta l’aia.

      Non è accettabile, da un partito che fino a pochi anni fa aveva i numeri per dettare legge, una politica da riunione condominiale, dove la comara vuole continuare a fare la calza e il compare a giocare a briscola. Questo è il momento di tirare le somme e di rimarcare, senza rischio di smentita, quanti danni sta producendo, per il territorio e per lo stesso Pd, la schizofrenia dei potentati locali, ai quali i vertici del partito hanno lasciato via libera per il timore di perdere i voti. Infatti, non sono stati persi solo i voti: sono state perse le elezioni.

      Sia chiaro, non è che la vittoria del centrodestra sia una tregenda. Però, il Pd non deve spaccare i maroni con le stronzate tipo il ritorno del fascismo perché qualsiasi cosa torni o arrivi, e il fascismo ci sembra quantomeno improbabile, dipenderà in larga misura dalle stronzate fatte dal Pd sia nazionale che abruzzese. Serve un ciclo di sedute da uno psicologo, di quelli con master in una costosissima università anglosassone, per capire come sia stato possibile che il Pd si sia fatto irretire, sulla fusione di Pescara, Montesilvano e Spoltore, dal sindaco di quest’ultimo comune, Luciano Di Lorito e dai suoi sodali, Lucio Matricciani in primis. Nello stesso partito, abbiamo Antonio Blasioli, santo subito, che si batte come un leone per il rispetto della Legge regionale su Nuova Pescara. Poi, c’è il già citato squadrone di Di Lorito, al quale dobbiamo aggiungere la deludente neo sindaca Chiara Trulli, che è sempre pronto a frenare la Fusione. E, dulcis in fundo, ecco il deputato ed ex senatore Luciano D’Alfonso, che ha energia e competenze, ma è in perenne oscillazione: una settimana sta di qua e una di là. Oh, a guardarvi da fuori sembrate una comitiva di ritorno da Cantine Aperte. Uno più bevuto dell’altro.

      Sulla Fusione, errori ne ha commessi anche il centrodestra, a cominciare dal celodurista per antonomasia, il sindaco di Montesilvano, leghista, Ottavio De Martinis. Però, né la Lega, né Fratelli d’Italia né, tantomeno, Forza Italia hanno l’ardire di definirsi progressisti. Dov’è il progresso in un Pd che non riesce a tacitare, al suo interno, le voci reazionarie? E perché vi chiamate Democratico se permettere alle vostre schegge di mortificare un referendum e di irridere una Legge? Come potete definirvi Partito se non siete riusciti a trovare una linea condivisa neppure per la richiesta di spostare la data della fusione dal primo gennaio 2023 al primo gennaio dell’anno successivo? Spoltore si è preso dei giorni supplementari per decidere. Quindi, vi domando, ha preso tempo per capire se deve chiedere tempo? Se ci trovassimo a teatro, sarebbe un’opera di Eugène Ionesco, il Teatro dell’Assurdo. E non diteci che nel Pd queste cose accadono perché c’è il confronto. Se fosse così, il Congresso nazionale sarebbe stato convocato appena dopo la disfatta alla Politiche, invece è stato rimandato alle Calende greche. E che rimandare vi piace proprio. Un consiglio per concludere: cambiate nome in Ad kalendas graecas. E’ la metafora del mai. Il Partito del Mai.

      Libero de Foscolo Ortis

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