Si legge patacca, si scrive Città della Musica. E’ la storia di un’incompiuta. L’ennesima. E’ la storia di uno sperpero di denaro. Il nostro! La Città in questione, che poi è un palazzotto visibile dall’Asse attrezzato, sulla destra in direzione Pescara-Chieti, sta lì a confermare che il metro cubo di cemento armato era e rimane un business per pochi e un debito per tanti quando è accarezzato dalle mani, raramente virtuose, degli amministratori pubblici. L’idea di partenza sarebbe buona, come lo sono quasi tutte quando non hanno soldi. Il problema sorge quando i soldi arrivano e sono dei contribuenti, anche se in parte attinti dal forziere europeo. Nel 2004, quando inizia la storiaccia, il sindaco di Pescara si chiama Luciano D’Alfonso, ora candidato alla Camera dei deputati nonché senatore uscente. A quel tempo, pare evidente, D’Alfonso non aveva ancora coniato lo slogan “Luciano lo sa fare”. Oppure, viene da pensare, ora c’è un refuso a complicare le cose. Manca un “non”. E, quindi, sarebbe “Luciano non lo sa fare”. Vabbè, andiamo avanti.
La buona idea, si diceva: trasformare in un centro di aggregazione l’ex inceneritore incastrato lungo via Raiale, in una zona che pretende tuttora, e a pieno titolo, di essere riqualificata e sulla quale troneggia, minaccioso, l’ex cementificio. Il progetto della Città della Musica punta a stupire: sale di registrazione e di prova, un salone per un’intera orchestra, una scuola di musica, un auditorium, un bookshop, una mediateca, una sala per audiovisivi e (poteva mancare?) un caffè panoramico. Insomma, tutto quanto occorre per un pomposo polo di riferimento musicale dell’area metropolitana e non solo. Grazie ai fondi europei del progetto Urban 2, piovono più di 2milioni e 300mila euro. Si scatena la grancassa: conferenze stampa, ruspe, operai, geometri, politici in tiro, piripì e parapà. Ecco la Città. Cioè la cittadella. Insomma, un palazzotto davanti al quale nessuno rischia la Sindrome di Stendhal. Ecco il nulla, a raccontarla bene, perché l’ardito lavoro si ferma all’improvviso.
Il tempo scorre. Finisce l’era D’Alfonso e, dopo l’interregno di Camillo D’Angelo, vicesindaco facente funzioni che si ritrova in auge per via delle disavventure giudiziarie del sindaco, irrompe sulla scena Luigi Albore Mascia, che si ispira ai motti dannunziani ed è patologicamente innamorato del calcio. Dunque, il centrodestra prende il posto del centrosinistra. A Pescara sembra che siano arrivati i montagnardi dopo la caduta dell’Arcien regime. La fontana di Toyo Ito, frantumata dal freddo, diventa la Bastiglia, un simbolo del passato da cancellare. E la Città della Musica? Rimane lì. A scolorire sotto il sole, la pioggia e i miasmi del fiume Pescara e del depuratore. Viene il sospetto che i nuovi padroni di piazza Italia lo usino come monito per i cittadini: “Ecco cosa hanno combinato i nostri predecessori”. I writer ci mettono un attimo a prendere possesso dell’incompiuta. Scritte (“Cozze e vongole”) e disegni (indecifrabili) non sono musica e neppure arte. Così è… Mascia, a fine mandato, cede il passo a Marco Alessandrini, Zagat per gli appassionati di cucina e di recensioni gastronomiche. Il centrosinistra si riappropria del potere. La restaurazione, all’ombra di D’Alfonso, fa tornare in auge la Città della Musica. Altri soldi. Altri lavori, seppur a singhiozzo.
Il tempo continua a scorrere. E arriva il quarto sindaco dopo un altro avvicendamento tra centrosinistra e centrodestra. Carlo Masci, coronando il sogno di una vita, diventa primo cittadino e si autocelebra come “il sindaco che ama Pescara”. Luigi Albore Mascia, uomo di ammirevole longevità politica, è assessore ai Lavori pubblici. Per la Città della Musica, sempre più scolorita e malinconica, c’è un altro importante gruzzolo, anche per gli arredi. Già gli arredi. Ma cosa arredate se manca ancora il famoso 30 per fare 31? Infatti, il contributo è importante, ma non risolutivo. Spiegazioni? Nessuna.
Il tempo, maledetto, scorre. Siamo ai giorni nostri. La Città della Musica è un imbrattato tempio allo spreco, rigonfio di rifiuti ed erbacce. Il putrido fiume Pescara e i vasconi maleodoranti del depuratore, se potessero, lo demolirebbero perché rappresenta il degrado quanto loro e forse più. Il cantiere è lì. Immobile e triste come uno spaventapasseri. L’incompiuta è compiuta, ma nell’essenza della parola e non nell’evoluzione di essa. Di musica non se ne sente, eppure le note stonate sono tantissime.
di Libero de Foscolo Ortis