I “NON LUOGHI” D’ABRUZZO MEGALÒ 2 E VASCHE DI ESPANSIONE DEL FIUME PESCARA

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Italia Nostra-Chieti si dichiara contraria al progetto Megalò 2, chiamato anche progetto Mirò, e si associa alle considerazioni espresse dal WWF Chieti-Pescara e dalle altre associazioni, Confcommercio, Confesercenti e Confederazione Nazionale Artigianato-Chieti, che avevano presentato e vinto il ricorso al TAR contro l’opera.

Le motivazioni, condivise, addotte dalle associazioni sono sostanzialmente due: il pericolo di costruire un grande supermercato nell’area di esondazione del Fiume Pescara e la conseguente mortificazione dell’economia cittadina, che già soffre per la presenza di numerose megastrutture nel territorio metropolitano.

Purtroppo la recente sentenza positiva del Consiglio di Stato, a cui si era appellata la società Sile proprietaria del terreno, sembra riattivare il progetto, anche se l’assessore regionale Mauro Febbo ha già dichiarato che “la posizione della Regione Abruzzo era e resta la stessa: contraria”, non essendoci modifiche al progetto che non ha avuto la convalida del Comitato VIA.

Anche dal “nostro” punto di vista si tratta di un’opera assurda, che distrugge il territorio e degrada l’ambiente.

Italia Nostra ha tra i suoi principi fondamentali la salvaguardi del paesaggio e questo intervento comporta la cementificazione del naturale spazio di esondazione del Fiume Pescara.

Un territorio forgiato dalla Natura nel corso dei secoli, sapientemente modellato e adattato alle piene, grazie alla vegetazione ripariale e agli ecosistemi forestali alluvionali.

Sono formazioni boscate spontanee, la cui presenza su terrazzi fluviali ben organizzati, rappresenta una garanzia per le aree urbane circostanti: la protezione “gratuita” da alluvioni e da esondazioni in tempi di cambiamenti climatici.

Tuttavia il paradosso è dietro l’angolo, poiché a pochi chilometri da Megalò 2 sono state create le cosiddette “vasche di laminazione” (dette anche “casse di espansione” in ambito fluviale o “vasche volano” in ambito urbano) destinate alla protezione idraulica di un territorio.

Si tratta di bacini artificiali di contenimento, realizzati per contrastare gli allagamenti e/o i momenti di massima piena degli alvei dei corsi d’acqua, a monte dei centri abitati.

E il paradosso consiste nell’aver realizzato vasche di contenimento, che sono diventate di fatto delle discariche a cielo aperto, e nell’aver distrutto un ambiente sano, in totale contraddizione e antitesi con l’obiettivo previsto.

Si tratta di opere non solo gestite male ma anche inutili.

Ribadiamo che il territorio e la società non hanno bisogno di questi interventi costosi per la collettività sotto ogni punto di vista: nella realizzazione, nel mantenimento e, infine, nello smaltimento.

Opere basate sul “non senso” che creano “non luoghi” e trasformano ambienti di grande pregio naturalistico in aree degradate e deturpate.

Non dovremmo dimenticare che ambienti sani portano un benessere diffuso e la gestione corretta del territorio corrisponde a una maggiore democrazia sociale.