Il fegatazzo per Sant’Antonio è un vero sollazzo

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Un salume identificativo dell’area peligna

di Emidio Maria Di Loreto

L’abbassarsi delle temperature di questi giorni, che hanno riconsegnato spruzzate di neve abbondanti nell’Abruzzo interno, ha riportato alla mente, e riproposto ai gourmet, un alimento tipico la cui degustazione è attesa in questi giorni in cui sono previsti i riti per la ricorrenza di Sant’Antonio Abate – lu Sand’Andonie- del 17 Gennaio- si festeggia nella notte tra 16 e 17- . Il Fegatazzo, salume intrigante che nel tempo è anche diventato per molti simbolo di appartenenza ed identificativo delle proprie radici oltre che elemento ricercato per degustarlo. Nelle rievocazioni legate alle ricorrenze di Sant’Antonio Abate, in Abruzzo non può mancare una generosa degustazione di Fegatazzi. Il salume viene offerto ai figuranti che in modo itinerante danno vita alle scenette rievocative delle tentazioni de lu demonio al Santo e poi finiscono per essere una delle pietanze più azzeccate nelle cene seguenti. Al fegatazzo si accompagna normalmente anche la pizza con gli sfrizzi -o sfrigoli, o ciccioli- che già da sola impegna molto degustazione e digestione, affiancata al fegatazzo attribuisce però una patente di indubbia origine territoriale al gourmand. Quella ultima assaggiata, preparata al solito da Gianfranco, è risultata molto sapida al gusto, con una croccantezza diffusa e con una ricca distribuzione di ciccioli che non ha costretto a ricercare le parti più condite. Altri piatti ad elevato indice di apprezzamento si accompagnano in questi conviviali arricchiti da opportune, quando non si trascende, mescite di Montepulciano che presto aiuteranno a rendere il clima già goliardico molto più apprezzato.   

I piatti tipici che saranno consumati per lo più aggregano ed offrono nuovi spunti a quel popolo gaudente che non aspetta altro per tornare ad una convivialità sospesa, causa forza maggiore negli ultimi anni. Il salume, nelle versioni fresche, si manifesta in una versatilità di piatti che però richiedono sempre una cucina semplice, essenziale, dove possa dimostrare organoletticamente le sue caratteristiche. Esse si esprimono comunque in modo volitivo, sia in pasticci con fagioli rossi o bianchi, nelle classiche polentate condite con salse bianche o rosse, arricchite con pecorini grattugiati -ad esempio  la così detta polenta rognosa in quel di Pettorano sul Gizio che la celebra anche in una particolarissima sagra-  oppure semplicemente sulla brace che può anche far uso in modo più ricco di uno spiedo rotante per garantire una cottura che vira in questo caso verso la perfezione. Nel ricordo però di questi giorni torna con pertinenza, dato l’argomento, una semiseria descrizione del fegatazzo nella versione secca. Salume che si presta per essere degustato in situazioni di maggior libertà e senza troppi vincoli tanto da essere scelto, da coloro che lo conoscono e lo amano, per accompagnare ogni merenda durante escursioni o passeggiate varie. Fu celebrato in uno scritto tra il serio ed il faceto che, riprendendo un fantasioso ma realistico  disciplinare, traccia le  Linee guida per una corretta degustazione del Fegatazzo di Totino.

Vi si leggeva: “ Si tratta dell’insieme di sensazioni organolettiche che assalgono il degustatore del Fegatazzo di Totino (da qui in poi FdT). Esse vengono conferite al prodotto originale partendo dalla provenienza dei prodotti necessari alla sua preparazione. Ecco l’elenco.

-In primis il fegato dei maiali dell’allevamento suino in quel di Corfinio nella Valle Peligna, scannati e macellati secondo l’antica e necessaria tradizione;

– a seguire l’utilizzo dell’insostituibile aglio rosso di Sulmona, che cresce in tutti i territori della Valle Peligna. Le caratteristiche benefiche del prodotto di quelle terre sono note dall’antichità e manifestate in un deciso e persistente gusto che, nel garantire la conservazione del prodotto,  conferisce una adeguata digeribilità anche per i palati più esigenti e raffinati ma adeguati;

– infine il peperoncino locale, la “saittell”, coltivato in località ” Valle dei Fiori” oppure ” Piano de la Torre” in territorio di Pratola Peligna, di media aggressività, contribuisce con l’aglio ad ottenere insieme al sale ed al budello selezionato il prodotto atteso.

 La preparazione della carne, per la precisione fegato ridotto a dadolata di dimensioni medio- piccole -operazione come una volta eseguita al coltello- ed arricchito da quantità di grasso della parte  più nobile del maiale, zona schiena-spalla. Anche il grasso viene ridotto a dadini di pari dimensione del fegato. Si procede quindi alla preparazione del composto aggiungendo alla carne l’aglio finemente tritato come il peperoncino secondo quantità che ogni preparatore ha personalizzato per il suo Fegatazzo. Con l’aggiunta del sale ben distribuito il prodotto risulta pronto per essere introdotto, con idoneo strumento, nei budelli ancora umidi per le operazioni di attenta pulizia. A questa fase segue quella della legatura delle salsicce, spettacolo nello spettacolo quando eseguita da mani esperte come in questo caso. Alla fine le salsicce risulteranno senza troppe differenze di lunghezze quasi sovrapponibili.

Una volta confezionate, le file di fegatazzi vengono lasciate asciugare su pertiche poste in alto in locali dotati di camino acceso per essere poi trasferiti, dopo 3 giorni -secondo le scritture- nei locali di stagionatura ben areati.

 Nel caso  del FdT, è stato dal produttore acquistato un sottotetto in località Goriano Sicoli –AQ-, particolarmente vocato alla stagionatura per le brezze montane che oltre a garantire una rapida preparazione del prodotto, risulta indicato per il FdT  ma anche per salami, prosciutti, lonze e “ucclar” – guanciale nel dialetto locale, prodotto insostituibile nella preparazione di carbonare e amatriciane-.  

Ricordo adesso la descrizione della vera degustazione che è difficile per la verità trascrivere essendo le sensazioni complesse e particolarmente ricche di gusto. 

Si inizia con la osservazione del prodotto che deve essere sano all’aspetto, cosa necessaria poichè è molto delicato nella conservazione e facilmente deteriorabile in mancanza delle necessarie accortezze. Tollerate, anzi secondo alcuni pure preziose presenze quelle di un velo di muffe sulle salsicce essiccate che favorirebbero la stagionatura e proteggerebbero il prodotto da possibili degradazioni.

Va presa dalla fila di fegati il pezzo terminale che deve essere  “strappato” dal resto della fila ed essere attenti al rumore prodotto, assimilabile ad un piccolo e secco “spaaa”; si noti bene che affinchè ciò avvenga bisogna evitare accuratamente le torsioni. Una immediata nuvola odorosa tipica di quel prodotto assale le narici del degustatore che inizia a riconoscerla come tipica e ad avere contezza circa il gusto che lo attende.

Quindi con l’indice, ma anche con il medio, ed il pollice si prende un lembo strappato del budello e lo si tira verso l’altra estremità del FdT badando bene di ascoltare in religioso silenzio il rumore prodotto: una sorta di “screeee” che nel mentre si procede, rilascia piccole goccioline,  “lacrime” di liquido odoroso che poi al gusto si rivelerà conturbante per l’enormità delle sapide sensazioni che produrrà.

 Si passa quindi ad addentare la parte distale del fegatazzo avendo cura di oltrepassare, da parte a parte,  con la ghiera dentale, l’intero calibro della salsiccia. Inizia a questo punto l’analisi vera della degustazione che assale subito il gourmet con una esplosione altrimenti sconosciuta di piacere gustativo. Si tratta di gusti decisi, dall’intensità forte ed immediata, non incontrati in altri prodotti, e che restano nel palato per tanto e ben oltre il tempo della degustazione.

 Sapori dimenticati che ricordano i profumi delle antiche cucine rurali di un tempo  con il camino acceso e la lentezza nella cottura dei fagioli nella pignatta che borbotta accanto al fuoco. Sapori e profumi, accompagnati dall’odore dei salumi pendenti  dalle pertiche dei soffitti e da quelli della madia contenente le pagnotte fatte in casa e conservate per un uso settimanale che però non ledeva minimamente la qualità del prodotto.

 Bisogna prestare attenzione anche alle sensazioni prodotte dal grasso che deve essere di colore chiaro meglio se rosato; i più esperti riescono a riconoscerne il gusto anche se miscelato nell’insieme dei prodotti del FdT, è impetuoso, da rendere necessario aiutarsi con un pezzetto di pane, ma non aggressivo cosa che, se rilevata, deve far propendere per una cattiva conservazione del prodotto. Lascerà il palato con la netta necessità di essere riempito nuovamente non appena sarà deglutita la quantità precedente.

 A volte, ed a seconda dei gusti e della “preparazione” del degustatore, ci si può aiutare con pane casereccio di gusto deciso, meglio se avente cottura a legna che in questo caso può anche non essere fresco, ed un imperativo calice di Montepulciano d’Abruzzo sia nella versione riserva che di ultima vendemmia. Secondo la mia opinione il rosso di Montepulciano d’Abruzzo prodotto in queste zone, se di buona produzione e di giovane età come avviene quasi sempre, può essere considerato di elezione  perché in questo caso gli intensi profumi floreali e di frutta rossa fresca della bevanda ben si fondono con i gusti e le persistenze decritti in precedenza e le completano in una esplosione di gusti equilibrati difficilmente eguagliabili in altre analoghe esperienze.”

 Un prodotto che identifica, caratterizza e rappresenta gran parte della terra in cui è prodotto ed i suoi abitanti.