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      Gli anni ruggenti del Giro d’Italia 1909 – 1969

      Pubblicato

      di Davide Pitocco

      Il Giro organizzato e sponsorizzato dalla Gazzetta dello sport ebbe inizio nel 1909. Alle tre del mattino di quell’anno parte da Rondò Loreto Milano la prima tappa del primo Giro d’Italia, ben 397 chilometri per raggiungere Bologna in bici e per la cronaca vince Dario Beni dopo ben 14 ore di gara: la tappa è stata un susseguirsi di cadute catastrofiche. Negli anni sessanta il vincitore ricorderà tutti gli avvenimenti di quel giorno, a cominciare dal rocambolesco rifornimento di Padova.

      “ Mi ero portato poco da mangiare, perché non avevo con me molti soldi e andai così al banco della Bianchi, perché correvo con una bici prodotta da loro. Ma invece di darmi da mangiare, mi diedero due schiaffi. Allora mi avvicinai a Galletti chiedendo se aveva qualcosa da mangiare ed allora mi passò mezzo pollo.”

      La vittoria di tappa gli frutterà il primo contratto da professionista.

      Il 29 maggio del 1940 al termine della tappa Firenze Modena, l’esordiente Fausto Coppi centra la sua prima vittoria alla corsa rosa ed indossa il simbolo del primato che conserverà fino alla fine del Giro. Il 1 giugno 1969, dopo l’arrivo nella città ligure di Savona, il corridore Eddy Merckx viene trovato positivo ai controlli antidoping e per questo il corridore belga viene escluso dal Giro che lo vede saldamente in testa alla classifica generale. Il Giro nasce assieme al giornalismo moderno, infatti inizialmente si contendono la sua organizzazione il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport. Infatti il Corriere pensa di promuovere un Giro d’Italia in automobile e pensa di promuovere anche uno in bicicletta, perché sta crescendo proprio in quegli anni la popolarità di questo sport, anche grazie allo svolgimento delle prime grandi classiche. Non dimentichiamo che il ciclismo è il primo sport popolare in Italia e lo sarà fino agli anni Sessanta, ovvero fino agli anni del Boom economico. Infatti è già diventato talmente popolare che quando arriva il Giro a Milano nel giugno del 1909 è un tripudio di festa e colori. Andando a leggere le cronache dei giornali dell’epoca si può vedere quale grande risonanza popolare abbia avuto, con titoli altisonanti che per settimane ne hanno accentuato la valenza e l’importanza.

      Il ciclismo è diventato subito così popolare, perché lo si può definire uno sport contadino, infatti tutti i ciclisti sono muratori, contadini, carpentieri, spazzacamini. Per questo diventa immediatamente il primo sport popolare del Belpaese. L’anagrafe popolare, soprattutto in campagna, non rispetta quella civile ed infatti se oggi andiamo ad analizzare i registri dell’anagrafe dei Comuni, c’è accanto al nome e cognome il dictu, cioè il nomignolo con cui queste persone sono conosciute in virtù delle loro imprese sulle due ruote.

      Quindi il Giro nasce da una vera e propria gara tra le due maggiori testate giornalistiche della città di Milano. Sul finire dell’estate del 1908, la mattina del 24 agosto, la Gazzetta dello Sport formalizza la nascita della più grande corsa ciclistica italiana, bruciando la concorrenza del Corriere della Sera sul filo di lana. Inizia così sotto il segno della velocità la Corsa Rosa, più di cento anni di imprese e ciclisti, alcuni entrati nella leggenda, altri completamente dimenticati. Di molti sono rimasti famosi i loro soprannomi. Il cannibale per Merckx, il campionissimo per Coppi, l’uomo di ferro per Bartali, il treno di Forlì per Enrico Baldini, il leone delle Fiandre per Fiorenzo Magni, addirittura il cinese per Malabrocca, l’eterno secondo per Belloni e per ultimo il re del fango, al secolo Luigi Ganna, vincitore del primo Giro datato 1909, perché di fango ne hanno assaggiato parecchio quegli intrepidi pionieri che hanno corso la prima edizione. Si corrono otto tappe, da Milano a Napoli e ritorno, per un totale di 2900 chilometri. Il Meridione è stato tagliato fuori per mancanze di strade adatte alle due ruote, ma anche nel resto della penisola a farla da padrone sulle strade ci sono polvere, buche e appunto fango. La bicicletta, o macchina a pedali, come si chiamava all’epoca, pesava circa 15 chili, quasi il doppio di una contemporanea, non ha né rapporti né marce, dispone di pompa e fanalino, perché si corre anche di notte e il regolamento prevede che in caso di guasto o foratura il corridore deve ripararla da solo, in totale solitudine. L’immagine classica del ciclista infatti è quella di un uomo avvolto da un paio di tubolari di ricambio tra il collo e la schiena. I primi partecipanti, quasi tutti del Nord Italia, sono 147, di cui 102 senza ingaggio per una squadra, detti anche isolati, perché privi di assistenza tecnica e logistica, a differenza degli accasati, che invece possono disporre dell’aiuto e del sostegno di una squadra.

      Questo è il ciclismo di una volta, quello in bianco e nero!

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